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Filosofia della medicina - Viktor von Weizsäcker - copertina
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Filosofia della medicina - Viktor von Weizsäcker - copertina

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2
1996
1 gennaio 1996
222 p.
9788878021235

Voce della critica


recensione di Vozza, M., L'Indice 1992, n. 3

Dopo aver trascorso un'esistenza dedicata a edificare la filosofia della vita, intesa come flusso contintuo, dinamica pura, forza corrosiva capace di scardinare ogni nostra acquisizione concettuale, il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel venne stroncato da un tumore al fegato nel 1918. Riflettendo sull'esperienza della malattia, Simmel constatava con perplessità e rammarico come quasi tutti i sistemi filosofici non rechino traccia dell'esperienza del dolore, della sua impervia cognizione. "Forse è necessario - scriveva il filosofo berlinese - aver posto come me la vita al centro della visione del mondo e averla come me valorizzata, per sapere che non è lecito difenderia, ma che si deve sacrificarla".
Seppure ormai lontane nel tempo, le osservazioni di Simmel restano sempre attuali: la filosofia preferisce trattare il problema del male piuttosto che dissodare lo scabro terreno della malattia, procedendo all'analisi delle forme di sofferenza e di separazione dal principio vitale. Anche quando lambisce l'esperienza del dolore, la filosofia si ripropone sempre come 'teodicea', come dottrina della giustificazione dell'esistenza del male nel mondo. Poco importa se è Dio - come in Leibniz - o qualche altro concetto metafisico il principio che ristabilisce la giustizia di fronte all'infamia del male, allo scandalo della sofferenza. Se l'atteggiamento della filosofia nei confronti dell'esperienza del dolore e della morte appare quanto meno problematico, una questione preliminare al tema della fondazione di una antropologia medica potrebbe essere formulata in questi termini: è la medicina ad aver bisogno di una filosofia o non è piuttosto la filosofia che deve finalmente confrontarsi con l'esperienza della malattia? L'esperienza del dolore scaturisce dal mondo della vita, si consuma nel tempo soggettivo della percezione fino a quando non interviene una forma di sapere capace di renderla oggettiva offrendone un'interpretazione plausibile. Se si afferma che ogni malattia è anche una malattia mentale, i due approcci scientifici disponibili - quello fisiopatologico e quello psicoanalitico - dovrebbero essere complementari.
II dolore mentale è un'esperienza di profonda trasformazione comune a tutti coloro che subiscono un'involuzione patologica del proprio corpo e sviluppano una sindrome depressiva, perchè avvertono la possibilità di una contrazione del tempo residuale di vita e, nelle forme più gravi, sono afflitti da una vera e propria angoscia di morte. Una angoscia che Proust, accanto alla nonna morente, ha saputo mirabilmente rappresentare con l'immagine dell''inquilino socievole', implacabile nel farsi ascoltare dal malato cronico attraverso un meticoloso linguaggio dei sintomi. La scienza medica, che procede per accertamenti diagnostici e protocolli terapeutici, non può ignorare la soggettività del malato che si esprime in una personale elaborazione del proprio disagio, in una cognizione del dolore spesso mascherata dal desiderio di mantenere in primo piano la precedente immagine di soggetto sano, nŠ può eludere l'irriducibile singolarità del patire che si manifesta in modo spesso contraddittorio secondo forme di cooperazione o di rifiuto nei confronti del medico curante.
Il principale obiettivo teorico di Weizsacker - conosciuto un pò riduttivamente come il fondatore della medicina psicosomatica fin dagli anni venti - è una filosofia della medicina (già abbozzata in questi saggi che risalgono agli anni quaranta) capace di determinare una svolta antropologica, realizzata mediante la critica dei modelli obbiettivanti propri delle scienze naturali e la revisione dei ruoli tradizionali nell'interazione tra medico e paziente, che Weizsacker teorizza con l'esigenza dell'inserimento del soggetto nella medicina. Il progetto di inserire il soggetto nella medicina comporta l'abbandono del paradigma fisiopatologico che considera la medicina una scienza naturale applicata e concepisce la malattia come deviazione dell'organismo dalla norma che la terapia si incarica di ripristinare.
Formatosi dapprima a Tubinga e a Friburgo sotto la guida del fisiopatologo Johannes von Kries, poi dal 1908 ad Heidelberg presso la clinica di Ludolf Krehl, in contatto con filosofi quali Rosenzweig, Rickert, Buber, Scheler e Jaspers, Weizsacker si mostra sensibile - come sarà poi anche Oliver Sacks - ad una concezione romantica della malattia, intesa come energia formativa, esperienza di trasformazione interiore. Già Novalis affermava che "le malattie, specialmente quelle lunghe, sono anni nei quali si apprende l'arte di vivere e si forma l'anima. Bisogna cercare di utilizzarle con osservazioni quotidiane". La critica antipositivista conduce Weizsacker - in particolare nella sua opera fondamentale: "Der Gestaltkreis", di cui Michel Foucault curò l'edizione francese - ad inserire la medicina nell'ambito delle scienze dello spirito, rivolgendosi all'analisi delle forme di vita in cui storicamente si osserva l'insorgere della malattia, ponendo l'enfasi sul ruolo dell'interpretazione accanto a quello dell'indagine empirica e formulando l'esigenza di una partecipazione empatica del medico nei confronti del paziente. L'essenza della malattia, la sua entità metafisica risuona nella richiesta d'aiuto rivolta al medico. Weizsacker propone dunque una definizione intersoggettiva della malattia e annette la medicina alle scienze comprendenti, alle discipline ermeneutiche: il soggetto da comprendere e l'Io dell'altro, la sua inequivocabile costituzione biopatica.
Il fondamento dell'attività medica non è di tipo conoscitivo, bensì etico-comunicativo, un fondale su cui si staglia perentorio -come direbbe Levinas - il 'volto dell'altro'.
La medicina si configura pertanto come un atto di sollecitudine nei confronti della manifestazione del dolore e, come tale, costituisce anche il primo atto terapeutico. Il dolore non può essere esperito dal medico con la percezione ma soltanto nell'espressione del paziente e va inteso - in una accezione freudiana piuttosto libera -come affezione dell'Io da parte dell' Es, come penetrazione ostile del mondo esterno ma, al tempo stesso, come salutare scoperta del mondo circostante, come tonalità emotiva del nostro "essere-nel-mondo".
Weizsacker puo così affermare che "la vita risulta articolata nella sua capacità di soffrire", individuando un ordine del dolore all'interno della compagine degli ordini vitali: "Là dove un uomo può patire sofferenze, là egli si trova realmente, là egli - sia di ciò consapevole o incolnsapevole - ha anche amato".
Si delinea compiutamente la filosofia del dolore che orienta l'attività scientifica di Weizsacker: il fenomeno originario non è l'essere ma il soffrire, il riconoscersi dipendenti da condizioni estranee e potenzialmente ostili ad un Io che si è preteso legislatore cristallino della natura; questo soggetto "patico" è una monade inquieta che prende forma nella relazione intersoggettiva tra i viventi e cresce nella consapevolezza della propria finitudine in cui palpita un cuore di tenebra.

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