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Fondamenti di linguistica - Raffaele Simone - copertina
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Fondamenti di linguistica - Raffaele Simone - copertina
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Descrizione


L'unico trattato italiano originale di linguistica generale. Fatto non privo di conseguenze: rispecchiando una caratteristica della cultura linguistica italiana, i Fondamenti si alimentano di una varietà di tradizioni, di linee di pensiero e di sfondi, muovendo dalla convinzione che la ricerca linguistica è, prima che analisi tecnica, una stroardinaria esperienza culturale. L'obiettivo di Fondamenti è quello di portare gradualmente a 'pensare la linguistica', presentando le conoscenze 'fondamentali' necessarie, ma mantenendosi deliberatamente al di qua della grande e spesso frastornante molteplicità di posizioni teoriche esistenti. È insomma quello di 'salvare i fenomeni', cioè illustrare e discutere una vasta varietà di fatti tratti da numerose lingue, familiari e no.
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Dettagli

19
2005
1 gennaio 2005
602 p.
9788842034995

Valutazioni e recensioni

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Mattia
Recensioni: 5/5

Uno splendido manuale di linguistica generale, ben scritto ed estremamente accurato nelle spiegazioni.

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Voce della critica


recensione di Bertinetto, P.M., L'Indice 1990, n. 8
(recensione pubblicata per l'edizione del 1990)

Si direbbe che l'epoca dei manuali, per quanto riguarda la linguistica, stia ricominciando. Dopo l'intensa produzione di due o tre lustri fa (sia originale che in traduzione), l'editoria italiana sembrava aver raggiunto un livello di saturazione, solo parzialmente interrotto di tanto in tanto dalla comparsa di nuove opere a carattere introduttivo. Ma da vari segnali si intuisce che la situazione è ora radicalmente mutata: stiamo entrando in un nuovo ciclo produttivo, con opere di singoli autori o (più spesso) a più mani. Il volume di Simone non è certo il primo frutto di questa nuova ondata, e tuttavia si segnala per almeno due ragioni: è un lavoro di grosso respiro, ed è interamente affidato a un singolo studioso. Inoltre, è il primo grosso manuale scritto da un autore italiano, in un campo lungamente egemonizzato dagli studiosi stranieri. Credo quindi che ci si debba congratulare con l'autore per averlo realizzato, nonostante le indubbie difficoltà dell'impresa. Nel valutare un prodotto di questo tipo, espressamente inteso come opera propedeutica alla disciplina, credo sia opportuno e corretto valutare almeno l'impostazione teorica, il "taglio" degli argomenti e la fruibilità didattica.
Impostazione. Simone ha concepito questo lavoro come testo propedeutico, dichiarando di aver collocato "l'osservatorio al livello teorico più 'basso'... che fosse possibile"; ossia il livello "sul quale la divergenza tra teorie diverse non è ancora pienamente istituita" (p. VIII). Ciò non toglie, e di ciò egli è perfettamente consapevole, che il fatto stesso di tentare un avviamento alla disciplina comporti delle scelte teoriche preventive. Queste sono risolte in favore di un'impostazione eminentemente descrittiva, con inevitabile (benché quasi sempre implicita) presa di distanza rispetto agli approcci "formali", che hanno conosciuto larga fortuna negli ultimi decenni. Questo non va inteso nel senso di un'ostilità nei loro confronti, ma semmai di una meditata riflessione circa il carattere della linguistica, che è definita come scienza "debole", "molle", e ciononostante "fredda". Debole perché "i suoi metodi sono in molti campi ancora abbastanza incerti, le sue tecniche d'indagine risentono spesso di una notevole vaghezza, le sue stesse definizioni di base sono controverse" (p. 4); molle perché "priva dell'apparato formale della matematica e della fisica, della capacità di costruire esperimenti ripetibili e controllabili che è propria della biologia o della tecnologia [ecc.]" (p. 4); fredda, infine, perché "adopera la verifica dei dati e metodologie 'fredde' in una misura molto superiore a quella tipica degli studi umanistici" (p. 10). Da tutto ciò si ricava l'immagine di una disciplina dallo statuto in qualche misura atipico, e dall'incerta collocazione nel panorama epistemologico, come dimostra del resto la stessa abbondanza di punti di fuga, che stabiliscono contatti profondi e non occasionali con svariate altre discipline (etologia, fisiologia, fisica acustica, letteratura, sociologia, psicologia, cibernetica, e via elencando). Forse non è esagerato dire che i linguisti soffrono oggi di un'acuta schizofrenia, dovuta alla frammentazione della loro disciplina in troppi settori, tutti altamente specializzati e spesso incomunicanti.
Pur nella cautela con cui l'autore si esprime, non manca un'esplicita petizione in favore di un approccio "funzionalista" allo studio del linguaggio, da intendersi come "esigenza di non descrivere le lingue in astratto, ma in relazione a chi le adopera" (p. X). Anche qui è bene fugare subito qualche possibile obiezione. La frase appena citata potrebbe far pensare a un approccio piattamente concreto, ma Simone stesso avverte (esprimendosi peraltro, a mio avviso, in termini eccessivamente perentori) che "la linguistica è... una disciplina essenzialmente non osservativa: dei suoi fenomeni, solo alcuni si possono vedere" (p. 15). Comunque sia, l'impostazione teorica adottata si traduce in una costante attenzione rivolta ad aspetti quali la funzionalità semiotica che rappresenta un autentico 'Leitmotiv' del lavoro: o certe forme di comunicazione diversamente strutturate (come la lingua dei segni o la comunicazione animale), che molto insegnano circa la specificità del linguaggio verbale umano.
L'impostazione di fondo rivendicata dall'autore mi trova sostanzialmente d'accordo, ammesso che si debba dare qualche peso in questa sede a simili convergenze d'opinioni, che certamente non sono condivise da tutti gli studiosi di linguistica. Forse è invece il caso di insistere sulla ricchezza di materiali illustrativi offerta da questo testo, che attinge i propri esempi da diverse lingue, con predilezione per l'arabo e il turco. Semmai, mi permetterei di obiettare che l'uso di esempi stranieri poteva essere dispensato in qualche singolo caso.
"Taglio". Un manuale introduttivo presenta, rispetto a questo problema, due fondamentali difficoltà: l'impossibilità di parlare di tutto e l'impossibilità di trattare tutto con pari competenza. Senza nulla togliere ai meriti dell'opera, che nel complesso rende giustizia alla vastità della disciplina, occorre rilevare alcune assenze piuttosto vistose. L'autore stesso dichiara (p. IX) di aver dovuto trascurare la tipologia e la pragmatica; e sono senz'altro d'accordo con lui che la rinuncia è dolorosa, tanto più che né dell'una né dell'altra si è potuto fare davvero a meno. Annotazioni pragmatiche e tipologiche sono sparse in vari punti: (circa queste ultime, si veda l'accenno alla morfologia non concatenativa, gli spunti sulla tipologia delle proposizioni relative e sulla nozione di soggetto, le costruzioni ergative, ecc.. Tanto valeva rendere maggiormente esplicito questo filone, fornendo i criteri fondamentali per una classificazione delle lingue; anche perché nozioni come quelle di lingua "flessiva", "agglutinante" e "isolante", pur con tutti i loro limiti, fanno parte del sapere tradizionale con cui un principiante deve misurarsi. Del resto, l'esplicita messa a fuoco del tipo isolante (ma qualche esempio dal cinese mandarino è pure citato) avrebbe permesso di temperare l'affermazione troppo drastica di p. 128, secondo cui "non si conosce... alcuna lingua che non abbia qualche tipo di fenomeno morfologico". L'insistita esemplificazione da lingue dalla morfologia complessa finisce col dare l'impressione, allo studente ignaro, che gli idiomi umani possiedano tipicamente questa caratteristica, il che evidentemente non è. Per converso, troppo smilzi sono gli accenni (p. 158) alla dimensione morfonologica, che pure rappresenta un tradizionale campo di scontro per le diverse correnti della linguistica. Certo, lo spazio è tiranno. Ma forse, se ne poteva guadagnare un po' trascurando certi argomenti di importanza marginale (come l'accenno alle parole "generali" di p. 292), o talune ridondanze (come gli spunti di morfologia turca, duplicati alle pp. 151 e 164-65, o quelli relativi al "genere" in inglese, pp. 282 e 314).
Un altro "vuoto" è rappresentato dalla psicolinguistica. Non mi è chiaro se ciò è dovuto a ragioni di spazio o a deliberata scelta, anche se l'affermazione di p. 84 ("gli elementi linguistici... si possono immaginare disposti, nella conoscenza che il parlante ha della lingua, in una sorta di 'magazzino di memoria' non ordinato") farebbe propendere per la seconda ipotesi. Ma questo è in contrasto con gli esiti della fecondissima ricerca concernente l'organizzazione del lessico mentale, dalla quale risulta che gli elementi linguistici sono disposti in maniera tutt'altro che disordinata nella mente umana.
Mi si consenta di insistere per un attimo su questo tasto. Nella sezione fonologica (in cui la nozione di "tratti distintivi" è trattata forse un po' troppo sbrigativamente) non si parla di "tono", "sillaba" e "armonia vocalica", che pure sono argomenti di notevole peso nella ricerca attuale. Ancora: nel capitolo sulla semantica non trova spazio la nozione di metafora, mentre nella sezione morfologica la nozione di "analogia" non è espressamente citata, benché vi si alluda indirettamente.
Ribadisco che considero inevitabili le lacune, anche in un'opera di grossa mole. Tuttavia, credo che un manuale introduttivo debba fornire le informazioni di base su tutti i principali aspetti in cui lo studente può imbattersi nel corso dei suoi studi. Evidentemente, non è questa la concezione che Simone ha di un manuale. Converrà quindi affrontare direttamente la questione, per chiarirne i contorni. Ma prima di farlo, mi corre l'obbligo di precisare che, a fronte di taluni "vuoti", il volume contiene molti aspetti ben trattati, e non sempre adeguatamente rappresentati nelle trattazioni propedeutiche. Per citare due esempio a caso, ricorderò i problemi di accordo, o le coppie "tema/rema" e "dato/nuovo'". Insomma, di materia per imparare ce n'è in abbondanza: e la distribuzione dei "pieni" e dei "vuoti" rispecchierà pure, legittimamente, le predilezioni dell'autore.
Fruibilità. Le finalità di un'opera propedeutica possono essere molto diverse. Ne citerò due: ci si può proporre di generare negli allievi la capacità di interagire coi prodotti della ricerca scientifica, acquisendo la necessaria conoscenza degli strumenti di base della ricerca; oppure si può mirare a stimolare una conoscenza critica sui fondamenti della disciplina, per favorire un apprendimento attivo. Ai due modelli corrispondono strategie diverse di selezione e presentazione della materia: nel primo caso si cercherà di adottare quella che convenzionalmente viene detta "trattazione manualistica", che consiste in una partizione rigorosa della materia secondo settori più o meno tradizionali, e nell'adozione di una terminologia il più possibile consolidata; nel secondo caso, si darà la preminenza a prospettive originali, e a scelte terminologiche talvolta inconsuete. Direi che Simone propende per il secondo modello, anche se fa larghe concessioni al primo. Mi inducono a pensare questo, oltre alla sua scarsa sottolineatura (sopra notata) di certe nozioni tradizionali del sapere linguistico, anche altri indizi, come le soluzioni terminologiche sempre suggestive ma talvolta non standard, e inoltre ciò che chiamerei "disposizione non necessitante" degli argomenti.
Circa la terminologia, l'autore dà prova di notevole inventiva, e certo non si può negare che le sue scelte siano spesso felici. Ma là dove esiste una terminologia consolidata, sarei propenso a usarla, tenendo conto del fatto che proprio con essa avrà a che fare lo studente, appena si avventurerà fuori del manuale. Avrei quindi preferito che si parlasse di "flessione" e "derivazione" anziché condizioni "di scomponibilità" e "di combinabilità stretta" (p. 129)); di "trasparenza" e "opacità" anziché "struttura articolata" e "struttura fissa" (p. 142); di nomi "non denumerabili" anziché nomi "di massa" (p. 318); di soggetto "espletivo" anziché soggetto "fantoccio" (p. 356). In altre circostanze, le mie riserve sono motivate dal rilievo eccessivo dato (anche tipograficamente) a nozioni che appartengono alla strategia retorico-espositiva dell'autore piuttosto che al bagaglio tecnico della disciplina. Se lo studente ignaro trova che la resa tipografica delle nozioni teoriche importanti è la medesima che viene riservata a nozioni quali "pacchetto morfemico" (p. 140), combinabilità "larga" e "stretta" delle parole (p. 186), "circuiteria" (p. 188), "alimentazione semantica continua" (p.,449) ecc., finirà per non riuscire a fare le debite proporzioni tra gli elementi di conoscenza appartenenti al sapere interpersonale, e le scelte idiosincratiche dell'autore. Diverso è il caso di "regionalità" (pp. 280 e 473); in questo caso, direi che la scelta è proprio infelice, perché fa pensare al problema della variabilità geografica, mentre l'autore vuoi alludere al fatto che il linguaggio è "compartimentato" in maniera tale, che non tutti i processi diacronici che lo investono si diffondono a tappeto sull'intero sistema.
Mi si consenta un'appendice a quanto detto. Oltre alla terminologia, esiste il problema delle convenzioni di formalizzazione (da intendersi qui nel senso poco nobile di "metodi di rappresentazione grafica"). Anche in quest'ambito, sono incline a pensare che lo studente debba imparare a riconoscere le principali forme di notazione; e se proprio non si trova spazio per dargliene i rudimenti, almeno si dovrebbe aver cura di non sostituire le notazioni standard con altre che non lo sono. Non mi trova dunque consenziente la strategia adottata dall'autore circa le notazioni sintattiche, consistente nell'introdurre (p. 202) un sistema di rappresentazione che, salvo errori, è ripreso soltanto alle pp. 210 e 213, mentre l'ormai consueto sistema degli "indicatori sintagmatici" (i cosiddetti "alberi" generativi) viene poi utilizzato senza alcuna presentazione alle pp. 370-73. In tutto il libro, poi, viene evitata la notazione fondata sulla parentesizzazione, che rende ottimi servigi in ambito morfosintattico, e che costituisce uno strumento d'uso corrente, la cui conoscenza è pertanto indispensabile.
Circa la disposizione della materia, sa di avventurarmi in un settore delicatissimo. Non intendo sindacare sulle scelte di Simone, che è ovviamente libero di parlare di "quantità fonologica" alle pp. 107-8 anziché alle pp. 119 sgg., dove si tratta di fenomeni soprasegmentali; o di "radici" e "affissi" alle pp. 140 sgg., dopo aver implicitamente usato la nozione nelle venti pagine precedenti; o di "coerenza testuale" a p. 453, quando il concetto poteva forse essere utile una cinquantina di pagine prima per introdurre la nozione di "testo". Ma, per l'appunto, questo modo di presentare la materia appartiene al secondo modello di propedeutica da me indicato sopra. Nell'altro modello, che personalmente preferirei adottare in questi casi, si cerca invece di ottenere il massimo di gradualità nell'introduzione degli argomenti, suggerendo all'allievo una griglia di riferimento "necessitante", in cui tutto trovi il proprio posto. È chiaro che ciò comporta dei rischi; ma sono convinto che nella prima fase di apprendimento lo studente abbia bisogno soprattutto di certezze; i dubbi, e le discussioni critiche che ne conseguono, verranno da soli in seguito.
Da quanto ho detto, e ammesso che siano giuste le mie osservazioni, mi pare che si possa ricavare qualche conseguenza circa la fruibilità didattica di quest'opera indubbiamente molto ricca di dati e di riflessioni originali. Forse, il destinatario più appropriato non è lo studente allo stadio iniziale (del resto, il prezzo del volume mi pare francamente eccessivo per questa destinazione), ma piuttosto lo studente che ha già acquisito delle conoscenze in linguistica, e che è ormai in grado di confrontare il proprio sapere con una presentazione non convenzionale, e pertanto corroborante, della disciplina. Oppure, perché no, lo studioso di linguistica tout court, che non mancherà credo, di apprezzare l'originalità, e la "stimolazione", di questo lavoro.

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Raffaele Simone

1944, Lecce

Oltre che linguista di reputazione internazionale, Raffaele Simone è autore di numerosi saggi di analisi della cultura e di fortunati pamphlet. Ha ideato e diretto opere lessicografiche (Dizionario dei sinonimi e dei contrari 2003; Il Treccani 2003). Tra i suoi libri, diversi dei quali tradotti in più lingue: Il sogno di Saussure (1992); L’università dei tre tradimenti (1993, nuova ediz. 2000); Idee per il governo dell’università (1993); Iconicity in Language (1995); Fondamenti di linguistica (1990; 15a ediz. 2004); La Terza Fase. Forme di sapere che stiamo perdendo (2000; 8a ediz. 2002); La mente al punto (2002). Con Garzanti ha pubblicato Il paese del pressappoco. Illazioni sull’Italia che non va (2005), IL mostro Mite. Perché l’Occidente...

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