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Bellissimo seguito del primo romanzo, bella trama, bei personaggi e libro molto scorrevole e coinvolgente, mai scontato, banale od esagerato. Le ambientazioni poi sono uno spettacolo come nel capitolo precedente. Finito ieri sera ed oggi in pausa pranzo ho subito iniziato il terzo ed ultimo capitolo della trilogia!
Peccato. Peccato per le tante, troppe, inutili metafore e per il ricorso a un’aggettivazione talmente ricca da risultare a tratti stucchevole e fastidiosa. La storia del poliziotto (Mancini) vedovo sconvolto dalla morte dell’amata moglie è già vista (penso al fantastico Rocco Schiavone di Manzini). Mancini, che perso dietro alle proprie farneticazioni neppure si prende il disturbo di “guardare” il cellulare nel bel mezzo di un’indagine (con un crescente numero di morti), risulta assolutamente ridicolo e inverosimile. Alcuni dettagli sbagliati poi, infastidiscono. Il grado di appuntato nella Polizia di Stato sparisce con la riforma del 1981 e viene sostituito dalla qualifica di assistente. Nel romanzo si menziona un appuntato eppure certamente la storia è ambientata in un periodo successivo agli anni ‘80 (sono presenti i telefoni cellulari Nokia). Infine, sembra che tutti, PM compresa, temano le decisioni del questore quando, in realtà, solo ed esclusivamente il PM è il titolare delle indagini. In soldoni è la magistratura che si avvale della polizia giudiziaria e non il contrario. Quindi il buon Mancini con l’avallo del PM (che aveva) poteva serenamente continuare a fare il proprio lavoro. L’idea di fondo non è male, ma non si riesce a empatizzate con i personaggi. Non leggerò nè il primo nè il terzo romanzo con Mancini & Co.
Un'altra complicata indagine per il commissario Enrico Mancini in "LA FORMA DEL BUIO" di Mirko Zilahy. Roma è nuovamente nelle mani di un serial killer, che uccide brutalmente le sue vittime e poi le ricompone, minuziosamente, come fossero sculture della mitologia ellenica, macabre copie umane del Laocoonte, del Minotauro, di Medusa. "Quello che la stampa chiama lo Scultore è un uomo alla ricerca di un museo in cui esporre le sue opere e raccontare la sua storia. E questo museo è Roma". Ma l'assassino vuole veramente creare un capolavoro? È alla ricerca di un grande palcoscenico come dicono i giornali? Oppure non c'è nessun messaggio, nessuna ricerca di pubblico e tutto questo lo fa solo per risposta al caos generato dalla sua mente malata? "Il caos è un male necessario. È il padre della paura che è madre della fede. Senza la paura del demonio viene meno il timore di Dio. Senza i mostri, non esistono eroi". Sulle sue tracce, ancora una volta, Enrico e la sua squadra. "Lui che era il più grande, sì. E poi ha smesso di credere. Si è lasciato andare. Si è messo in pausa dalla vita". Ma non dal lavoro di commissario. Chi meglio di lui, col suo pesante carico di tormenti, vertigini, sofferenze, incubi, fantasmi può trovare quel "mostro" che terrorizza la città? Un'altra prova magistrale per il commissario Mancini, nella sua quotidiana lotta contro i "mostri" (fuori e dentro di sé). Per la Roma "del sotto e del sopra". E per Mirko Zilahy. La sua potente scrittura visionaria, a tratti spaventosa, che mi aveva letteralmente paralizzato dalla paura nel primo romanzo, inizio ora ad amarla sempre di più. "Roma, la città dei morti, lo coccola nel suo grembo di cunicoli, sotterranei e catacombe. E lui ha imparato ad amarla. Come fosse la sua grande cella. Nessuno sa della sua missione, nessuno lo capirebbe. Nessuno perdonerebbe il cacciatore di mostri se sapesse cosa fa di notte, quando ha più paura che mai. Quando esce in cerca delle sue prede mostruose".
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