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Fotografia e arti visive -  Claudio Marra - copertina
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Fotografia e arti visive -  Claudio Marra - copertina
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Descrizione


Il volume propone un confronto aperto tra la fotografia e le diverse modalità espressive che hanno caratterizzato le arti visive nel Novecento, coinvolgendo le prospettive dell'oggetto, del corpo, dell'ambiente e del concetto, senza limitarsi al semplice rapporto con la pittura. Vengono così discusse alcune questioni fondamentali per la cultura fotografica contemporanea, affrontando aspetti specifici delle arti visive, ma anche scoprendo originali occasioni di intreccio con la letteratura, il cinema e la medialità in genere, con particolare attenzione alla nuova frontiera digitale.
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Dettagli

2014
25 settembre 2014
158 p., ill. , Brossura
9788843073573
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Indice

1. Due note preliminari

2. La fotografia come metafora dell’arte contemporanea

3. Il doppio sole di Nicéphore Niépce. L’esordio concettuale della fotografia

4. In bilico tra modernità e contemporaneità

5. Dalla fotografia al cinema: l’asse Kandinskij/Kracauer

6. Origini post-datate del fotografico

7. Dal cinema alla fotografia: l’asse Pirandello/Sander

8. Secondo Novecento: l’irresistibile ascesa del fotografico

9. Storie autarchiche della fotografia

10. Old media vs new media

11. L’occhio di Dio. La vocazione voyeuristica della fotografia

12. Reazionarieta?estetica dei discorsi sul digitale

Bibliografia

Valutazioni e recensioni

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andrea.dalessiovianello
Recensioni: 3/5

Interessante dissertazione filosofica sulla fotografia intesa come strumento di espressione del bello. Ricco di spunti utilissimi per tentare una più approfondita riflessione culturale.

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Sara
Recensioni: 4/5

Saggio sull'impatto e ruolo della fotografia nelle arti contemporanee. Marra espone in modo chiaro e senza inutili giri di parole. Molto consigliato a chiunque voglia approfondire questi temi.

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Voce della critica

  L'ultimo libro di Claudio Marra si fonda su un'idea che dovrebbe ormai essere di dominio pubblico: il rapporto tra fotografia e arte non può assolutamente risolversi in un combattimento con la pittura o con l'idea di immagine come rappresentazione. Se si ragiona in maniera così antiquata, è scontato che si formino due opposti schieramenti: da un lato i difensori dell'arte frutto del genio dell'artista, dotato di una téchne e di un'immaginazione fuori del comune, che non accorderanno mai fino in fondo alla fotografia (povera invenzione automatica alla quale tutti abbiamo accesso) la patente di artisticità; dall'altro, sentendosi attaccati, alcuni fotografi, ancora oggi, preferiscono dire che la fotografia non c'entra con l'arte, autoghettizzandosi in un felice hortus conclusus che dovrebbe metterli al riparo da imbarazzanti confronti. È chiaro che oggi le cose non sono così nette: Marra cerca di far luce proprio in quelle pieghe dove queste posizioni vanno ad annidarsi sotto forma di pregiudizi quasi inconsci. Esemplare in questo senso è la sua lettura delle riflessioni sulla rivoluzione digitale, a cui imputa una neanche troppo velata "reazionarietà estetica". Il digitale, che avrebbe liberato la fotografia dalla schiavitù del rifarsi automatico al dato reale, è salutato spesso come quella tecnologia che permette finalmente anche al fotografo di esprimersi con la stessa libertà del pittore col suo colpo di pennello o dello scrittore con le infinite combinazioni della lingua, cioè di essere artista. Per Marra è invece la versione aggiornata di una disposizione estetica ancora ottocentesca. Fare riferimento alla pittura per parlare di fotografia non è sbagliato o storicamente scorretto: nessuno nega il rapporto della fotografia con la prospettiva rinascimentale e il comune uso da parte di entrambi i media della camera obscura. Ancor meno si può tacere del fatto che la somiglianza formale fra un quadro e una fotografia sia di un'evidenza abbagliante. Guardare a tutto questo però significa guardare solo da un lato, da una sola prospettiva. Secondo Marra è proprio l'altra parte della barricata che va esplorata per trovare il rapporto più fecondo che la fotografia ha intrattenuto e intrattiene con le arti visive, definizione con la quale dobbiamo riferirci all'arte dalle avanguardie storiche in poi e in particolare après la rivoluzione duchampiana. Oltre cortina assistiamo a un vero ribaltamento di valori. L'automaticità, l'assenza della mano, l'anti-autorialità, il riferirsi diretto alla realtà, cioè il prelievo automatico che la fotografia esercita sui suoi soggetti, diventano qui il suo punto di forza e la sua vera novità estetica, dove "estetico" va inteso in senso etimologico, come apprensione consapevole e meditata del mondo con i sensi, cioè in un quadro francamente esperienziale. Tutto si coagula dunque intorno alla natura segnica più profonda della fotografia, che prima di essere un'immagine, cioè la rappresentazione di una porzione del mondo, ne costituisce un'impronta diretta, essendo il risultato della fissazione su un supporto, chimico o elettronico che sia, dei raggi luminosi provenienti dal soggetto. La semiotica parla in questo caso di "segno indice": una fotografia non può in alcun modo esistere se non c'è stata la presenza del soggetto fotografato davanti all'obiettivo. Il suo specifico non è quindi il sistema della rappresentazione, che pure evidentemente le compete, ma la questione della presentazione, la manifestazione diretta, chimico-fisica, del reale, seppure con tutte le ambiguità del caso. Ambiguità che magari il digitale ha amplificato enormemente, senza però giungere mai a un completo stravolgimento. E non sono forse i concetti legati alla presentazione, al valore esperienziale, all'allontanamento dalla schiavitù della mimesis rappresentativa, alla provocatoria esibizione dei dati della realtà, anche quotidiana e banale, a costituire, partendo dalla chiave di volta imprescindibile del ready made, la rottura rivoluzionaria più evidente e densa di conseguenze che dalle avanguardie storiche giunge a maturazione con la ripresa del discorso durante le neovanguardie? In questa direzione, la profonda parentela concettuale tra fotografia e ready made, nel segno di un prelievo automatico della realtà senza il plus di una tecnica artistica, che arriva a spostare fortemente il valore dell'operazione artistica sul versante concettuale, il rapporto fra arti visive e fotografia non diviene più di sudditanza o filiazione per la seconda, ma anzi la fotografia può rivendicare, non solo di poter stare accanto senza soggezione alle tante incarnazioni dell'arte contemporanea, ma anche di essere stata fra gli agents provocateurs del ribaltamento assiologico dell'estetica che fa da base alle pratiche artistiche dai primi del novecento in poi. Proprio come un infiltrato, la fotografia, così simile a un quadro da sembrarne l'aggiornamento tecnologico, inocula nell'arte visiva il germe della presentazione diretta, funzionando come un ready made, e sicuramente costituendo una delle invenzioni che suscitarono in Duchamp il rifiuto delle strade tradizionali e convenzionali del fare arte. Il libro di Marra ha quindi il merito di ribadire l'orgogliosa centralità del fotografico nella storia e nell'evoluzione dell'arte contemporanea; senza negare gli aspetti formali e rappresentativi che la fotografia ha espresso nella sua storia, ma ponendoli su un piano di evidente minore novità e importanza dal punto di vista estetico.    

Sergio Giusti

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