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Un volume curioso, che nasce dalla mostra Oltre il territorio (Pesaro, 2013) a sua volta dedicata a tre autori molto diversi ma contigui per frequentazioni (negli anni Settanta) e approcci culturali: il ceramista Franco Bucci, il graphic designer Massimo Dolcini, e Gianni Sassi, operatore culturale a tutto tondo, come ben sanno i lettori di Alfabeta che Sassi progettò ed editò.
Curioso perché parte dall’idea di genius loci, ovvero da una localizzazione territoriale e vocazionale: Pesaro e la sua provincia, terra di ceramisti e sede della prima scuola pubblica di livello universitario dedicata al design grafico, l’ISIA di Urbino: ancorché Sassi fosse milanese, ma di costante frequentazione, negli anni Settanta, di quell’area marchigiana, proprio nella collaborazione con Bucci.
Curioso perché appunto incrocia ceramica e graphic design, per i due appena citati e per Massimo Dolcini, anch’egli ceramista forse un po’ più che per passione, visto che anche il suo maestro, Michele Provinciali, in quel materiale aveva realizzato quei contenitori resi celebri dai suoi progetti di comunicazione. Una materia in cui peraltro il curatore del libro, Roberto Pieracini, si diploma, all’Istituto d’Arte, nella sua Pesaro, e che affronta con il Laboratorio Pesaro, fondato proprio con Bucci e Nanni Valentini, prima di partire alla volta di Milano per lavorare con Ettore Sottsass.
Curioso infine perché procede giustapponendo testimonianze dirette e testi a mo’ di ‘scheda’, a tratteggiare una situazione generale assai variegata, quella di una zona che oltre ai tre personaggi citati fece incontrare dagli anni Sessanta una quantità di altri autori di diverse esperienze, attività e provenienze. Per poi concentrarsi sulla triade, all’interno della quale il milanese Sassi fa la parte del leone, in termini di paginazione (e, bisogna, dire, anche di storia, tuttavia), con un repertorio particolarmente vasto e variegato.
Ma il volume, nella forma come nella sostanza, non è poi così anomalo se si considera che è stato tracciato da un progettista, Roberto Pieracini; anzi un grande progettista, perché direttore dell’Ufficio Pubblicità e poi responsabile del Servizio Grafico Editoriale in Olivetti, quindi titolare di Cagnone&Pieracini, Presidente dell’associazione dei graphic designer italiani (l’Aiap), Direttore della stessa ISIA di Urbino. Nella sua struttura, questo volume è quasi uno sketch book, un libro di schizzi e appunti, quelli che sempre i progettisti compongono per raccogliere e catalizzare spunti, immagini, idee, parole.
E allora va bene la formula un po’ discontinua della testimonianza (Giancarlo Iliprandi sull’ISIA, Alberto Ridolfi sulla comunicazione – celeberrima - del Comune di Pesaro dagli anni Settanta ai Novanta), o del testo dedicato a un particolare autore (ceramisti come Zauli, artisti come Mattiacci e i Pomodoro…) a una particolare istituzione (il CSAG, da cui nasce poi l’ISIA), a una particolare esperienza (la immagine coordinata di Urbino, pensata da Albe Steiner con gli studenti dell’Istituto d’Arte della città, nel 1970), a una particolare galleria (quella estremamente ‘contemporanea’ di Franca Mancini). Un affresco un po’ impressionista, in particolare quello che costituisce la parte iniziale del volume, dove si mescolano figure provenienti da entrambe le discipline, chi stanziali chi più passeggere, con sconfinamenti ovvi fra arti visive, decorazione, progetto grafico, editoria e via dicendo.
Appunti, in qualche modo, di uno sketchbook destinato a descrivere una delle attitudini chiave dei progettisti: quella di essere delle sorte di antropologi del quotidiano. Chi progetta prodotti e servizi, infatti, non può che ideare una serie di relazioni, che questi artefatti soddisfino e incarnino, partendo dalla percezione (perché si tratta di una forma di analisi assai partecipata) di esigenze, problematiche, intuizioni latenti nella nostra cultura, e quindi nella nostra società. Costruire artefatti è sempre generare strumenti che dialogano con la cultura corrente, la modificano, talora la rivoluzionano (pensiamo al Post It, al Walkman o al tablet). Dunque, per un progettista l’interesse per la cultura materiale è sostanziale perché lì egli muove, lavora, raccoglie effetti e risultati.
E allora, il volume di Pieracini e Facchini può essere pensato come una interpretazione in chiave storica di quelle ‘design researches’ che tendono oggi ad esprimere la modalità di indagine utile al designer (di qualsivoglia area: graphic, service, product…) per affrontare compiutamente un progetto; un volume che prova a delineare, nel passato, le tracce, gli stimoli, le situazioni che hanno generato una sorta di laboratorio permanente (specie nel graphic design, bisogna dire) attivo a tutt’oggi. Oppure anche, se vogliamo, una piccola elegia di uno dei tanti territori di eccellenza che l’Italia vanta, dove dinamiche sociali, culturali e imprenditoriali si sono mescolate (e tutt’ora si mescolano) in un tutt’uno.
Carlo Branzaglia
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