I fratelli Karamazoff; Delitto e castigo di Feodor Dostojevski Editore: Lucchi Anno:1959-1960 numero di pagine:315 Formato: economico Tascabile Lingua:italiano genere: romanzo Descrizione del libro I fratelli Karamazoff: il testo presenta una scritta a pennarello in prima pagina. Nei primi capitoli l’autore presenta i personaggi, iniziando dal vecchio padre Fëdor Pavlovič, proprietario terriero in un distretto di provincia, uomo volgare e dissoluto, capace soltanto di volgere a suo vantaggio gli avvenimenti. Questi si era sposato dapprima con Adelaida Ivanovna Mjusova, una fanciulla di temperamento romantico che aveva accettato di diventare sua moglie per potersi liberare da un ambiente familiare dispotico, non per vero amore. Ella in seguito aveva abbandonato il marito e il figlioletto Dmitrij, che viene allevato in casa dal servo Grigorij (solo in seguito se ne interessano alcuni parenti), sviluppando sentimenti contrastanti nei confronti dei genitori. Fëdor si sposa una seconda volta, con Sofia Ivanovna, dolce e bella, ma che, per il comportamento rozzo e insensibile del marito, diviene una klikuša, termine russo che indica una donna affetta da una malattia nervosa caratterizzata da convulsioni, urla e da una sensibilità religiosa molto acuta. Da queste seconde nozze sono nati Ivàn e Aleksej. Le condizioni della donna, anche a causa dei continui tradimenti da parte del marito, si aggravano, sino a condurla ad una morte precoce. Ivàn cresce chiuso in se stesso, intelligente, scettico seppur assetato di fede. Aleksej è di carattere solare, e cerca la verità nella fede, per la quale è disposto a sacrificare ogni cosa; all’inizio del romanzo si trova in un monastero. Delitto e castigo: Lo svolgimento dei fatti è quasi tutto a Pietroburgo, nel corso di un’afosa estate. L’epilogo invece si svolge nella prigione-fortezza di una località non espressamente nominata, sulle rive del fiume Irtyš (fiume del bassopiano della Siberia occidentale). Dovrebbe trattarsi di Omsk, dove era presente una struttura per lavori forzati, conosciuta bene da Dostoevskij per avervi scontato egli stesso una condanna. Il romanzo ha il suo evento chiave in un duplice omicidio dettato dall’ostilità sociale: quello premeditato di un’avida vecchia usuraia e quello imprevisto della sua mite sorella più giovane, per sua sfortuna comparsa sulla scena del delitto appena compiuto. L’autore delle uccisioni è il protagonista del romanzo, un indigente studente pietroburghese chiamato Rodion Romanovič Raskol’nikov, e il romanzo narra la preparazione dell’omicidio, ma soprattutto gli effetti emotivi, mentali e fisici che ne seguono. Dopo essersi ammalato di febbre cerebrale ed essere stato costretto a letto per giorni, Raskòl’nikov viene sopraffatto da una cupa angoscia, frutto di rimorsi, pentimenti, tormenti intellettuali e soprattutto la tremenda condizione di solitudine in cui l’aveva gettato il segreto del delitto; presto subentra anche la paura di essere scoperto, che logora sempre di più i già provati nervi del giovane: troppo gravoso per lui è sostenere il peso dell’atto scellerato. Fondamentale sarà l’inaspettato incontro con una povera giovane, Sonja, un’anima pura e pervasa di una fede sincera e profonda, costretta però a prostituirsi per mantenere la matrigna tisica e i fratellastri. La giovane offre alla solitudine del nichilismo di Raskòl’nikov la speranza e la carità della fede in Dio. Questo incontro sarà determinante per indurlo a costituirsi e ad accettare la pena. Ma il vero riscatto avverrà per l’amore di Sonja che lo seguirà anche in Siberia. Il delitto era stato compiuto: non era stata la Siberia il castigo, ma la desolazione emotiva e le sue peripezie per arrivare infine, grazie a Sonja, al pentimento della coscienza morale e alla confessione. Oltre al destino di Raskòl’nikov, il romanzo, con la sua lunga e varia lista di personaggi, tratta di temi comprendenti la carità, la vita familiare, l’ateismo e l’attività rivoluzionaria, con la pesante critica che Dostoevskij muove contro la società russa coeva. Sebbene rifiutasse il socialismo, il romanzo sembra criticare anche il capitalismo che si stava facendo strada nella Russia di quel tempo. Raskòl’nikov reputa di essere un superuomo e che avrebbe potuto commettere in modo giustificato un’azione spregevole — l’uccisione della vecchia usuraia — se ciò gli avesse portato la capacità di operare dell’altro bene, più grande, con quell’azione. In tutto il libro vi sono esempi di ciò: menziona Napoleone molte volte, pensando che, per tutto il sangue che versava, faceva del bene. Raskòl’nikov pensa di poter trascendere questo limite morale uccidendo l’usuraia, guadagnando i suoi soldi, ed usandoli per fare del bene. Sostiene che se Newton o Keplero avessero dovuto uccidere un uomo, o addirittura un centinaio di uomini, per illuminare l’umanità con le loro leggi e le loro idee, ne sarebbe valsa la pena. Il vero castigo di Raskòl’nikov non è il campo di lavoro a cui è condannato, ma il tormento che sopporta attraverso tutto il romanzo. Questo tormento si manifesta nella suddetta paranoia, come anche nella sua progressiva convinzione di non essere un superuomo, poiché non ha saputo essere all’altezza di ciò che ha fatto.
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