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1997
1 luglio 1997
192 p., ill.
9788873804208

Voce della critica


recensione di Cresto-Dina, P., L'Indice 1997, n. 9

Diciamolo subito: il limite intrinseco di certe operazioni biografiche consiste nella loro incapacità di mettere a fuoco in modo sufficientemente unitario la serie delle esperienze che caratterizzano un determinato itinerario intellettuale o artistico. Se tali esperienze vengono sistematicamente interpretate come espressione di conflitti di natura psicologica o come semplici reazioni ai condizionamenti del mondo esterno, ciò che viene smarrito è il rapporto che esse intrattengono con quella riflessione che si dipana in una più vasta prospettiva storica e che rientra tra i presupposti essenziali nel cammino di ogni pensatore. Cos", sembra davvero riduttivo interpretare la graduale acquisizione da parte di Nietzsche di un punto di vista autonomo - dopo la giovanile condivisione del progetto estetico wagneriano - solo come risentita replica a quell'"offesa mortale" che il filosofo aveva individuato nelle insinuazioni di Wagner circa la sua presunta pederastia. Se in "Umano, troppo umano" - il libro del distacco - non mancano riferimenti più o meno espliciti a elementi dell'esperienza vissuta, non per questo possono essere fraintese le linee portanti di un'opera che impone piuttosto una riconsiderazione complessiva della storia della metafisica e della morale occidentali.
Posto quindi che si sia consapevoli delle caratteristiche di un genere di scrittura che lo "humour" di Woody Allen ha immortalato nella celebre nota sulle liste del bucato del Metterling ("L'avversione del Metterling per l'amido è tipica del periodo e, quando il suddetto pacco di biancheria gli tornò indietro troppo irrigidito, egli piombò in una cupa depressione"), non dovrebbe essere troppo difficile cogliere anche gli aspetti positivi del libro di Joachim Kshler. Essi consistono principalmente nella revisione delle interpretazioni tradizionali relative al complesso rapporto tra Nietzsche e Wagner, sia di quelle dominanti nella letteratura nietzscheana, la quale ha sempre attribuito al filosofo "il ruolo del genio paritario a Wagner, che avrebbe vissuto con il Maestro le fasi di un incontro epocale", sia di quelle accreditate dalla letteratura di parte wagneriana, a sua volta assai zelante nel sottolineare il "subdolo" tradimento operato ai danni del compositore da parte di colui che avrebbe potuto diventarne l'alfiere più fidato. In entrambi i casi si è persa, secondo Kshler, l'immagine del discepolo plagiato e manipolato, del sostenitore entusiasta utilizzato in un primo tempo quale strumento di propaganda e di diffusione del verbo wagneriano, ma poi violentemente respinto al sorgere dei primi sintomi del dissenso. Non è stata insomma sufficientemente messa in luce quella vera e propria "scuola della sottomissione" ("Die Schule der Unterwerfung" suona il sottotitolo originale del volume, inspiegabilmente soppresso nella versione italiana) alla quale in misura assai maggiore e in modo tanto più incondizionato rispetto a Nietzsche si sottopose la stessa Cosima, con la sua vigile custodia del patrimonio artistico del marito, sopravvissuta nelle forme più discutibili dell'ideologia ufficiale di Bayreuth.
Nell'analisi di questi rapporti la considerazione psicologica incontra nella mitologia un sostegno diretto. Il rapporto di Nietzsche e di Cosima con il dominatore Wagner viene letto alla luce del mito relativo all'impresa di Teseo nel labirinto di Cnosso e all'incontro di Dioniso e Arianna sull'isola di Nasso, secondo un quadro di corrispondenze che alcuni tardi frammenti di Nietzsche sembrano effettivamente suggerire.
Un elemento peculiare di questo isolamento può essere considerato l'accanito antisemitismo della famiglia Wagner, che l'autore colloca tra i motivi della rottura con Nietzsche, soprattutto a causa dell'amicizia di quest'ultimo con l'"israelita" Paul Rée. Se risulta abbastanza problematico sostenere, come fa Kshler, che in alcune espressioni polemiche che Nietzsche aveva coniato nella fase del suo apostolato wagneriano (quali "uomo socratico" o "filisteo della cultura") si nascondesse un'allusione all'ebraismo tale da far pensare a un'iniziale piena accettazione dell'ideologia antisemita professata a Tribschen, più plausibile appare invece la tesi secondo la quale il suo posteriore rifiuto delle posizioni antiebraiche sarebbe da ricondurre almeno in parte alla volontà di sottolineare da ogni punto di vista l'avvenuta presa di distanza nei confronti dell'alleato di un tempo.
Proprio una tale questione è destinata tuttavia a palesare i limiti di un'indagine basata sul materiale biografico, dal momento che solo da una sistematica ricognizione testuale ci si potrebbe aspettare qualche chiarimento essenziale. Si tratta, come è facile intuire, di una materia molto complessa, della quale occorre acquisire piena consapevolezza soprattutto se, rifiutando gli aspetti più deteriori e regressivi dell'ideologia wagneriana, si intende tuttavia continuare a frequentare il repertorio mitologico e musicale che Wagner ha messo a disposizione della modernità, senza rassegnarsi all'isolamento artificioso di un livello "neutro" della fruizione che si vorrebbe innaturalmente depurato di ogni implicazione extrartistica. Ma il vantaggio della nostra posizione odierna risiede almeno nella possibilità di capire senza doverci necessariamente schierare, laddove per la critica nietzscheana proprio l'esigenza di una presa di posizione si era manifestata come l'imperativo più urgente.

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