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Nella Fuga nelle tenebre, che fu pubblicata nel 1931, poco prima della morte dell’autore (ma la stesura originaria è degli anni 1912-1917), Schnitzler raggiunge la massima intensità di narratore. La storia è quella della graduale, consequenziale germinazione di un delirio. Qui il racconto non è, come sempre in Schnitzler, cosparso di accenni al fondo oscuro della psiche, ma in certo modo costringe quel fondo ad apparire in primo piano, sotto una luce fredda e limpida. Insediati all’interno della psiche del protagonista, assistiamo al primo infiltrarsi in essa di una serie di presentimenti e ammonimenti, che subito fanno oscillare tutta la realtà, gettandola in un’incertezza simile a quella dei sogni. Poi, in una progressione sempre più angosciosa, ci accorgiamo che ormai una rete di ossessioni si è posata sul mondo. A poco a poco, le sue maglie si stringono crudelmente e tutto ciò che avviene converge verso un unico punto di fuga: le tenebre.
Come i cinque casi clinici di Freud appartengono, oltre che ai testi classici della psicoanalisi, alla grande letteratura del nostro secolo – sicché Dora e l’Uomo dei lupi e il piccolo Hans si sono ormai allineati accanto ai personaggi di Balzac e di Dostoevskij – così questo stupendo racconto di Schnitzler va anche letto come un’analisi dell’insorgere di un delirio ossessivo, sbalorditiva per la sua nettezza, illuminante in ogni particolare, avvicinabile solo ai grandi testi di Freud. E la figura di Freud stesso sembrerebbe qui adombrata in uno dei personaggi: il dottor Leinbach, «spettatore molesto e filosofo».
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33. In "fuga nelle tenebre" Schnitzler ci riporta ancora una volta nella mente del suo protagonista: Robert, quarantenne austriaco con un lavoro tranquillo e in procinto di sposarsi per la seconda volta, che improvvisamente viene colto dalla paura di star diventando folle. Che fare? Come prima cosa bisognerà avvertire il fratello medico, dirgli di bruciare quella sua lettera che lo autorizzava a mettere fine alla sua vita nel caso in cui fosse diventato pazzo. E se non bastasse? Se in realtà già tutti intorno a lui stessero cospirando? Se già tutti lo avessero bollato come pazzo? Questa volta non si tratta di un lungo monologo, anche se lo stile dell'autore rimane simile e il movimento pian piano riflette quello della mente del protagonista: prima lento e tranquillo, poi sempre più veloce e ossessivo man mano che la pazzia, com'è prevedibile, prende il sopravvento; tutto ciò fino all'escalation finale, come in ogni romanzo di Schnitzler che si rispetti. Ancora una volta sono rimasta affascinata dallo stile dell'autore che riesce a tratteggiare con tanta maestria la psiche dei personaggi, dimostrando il grande interesse che la mente suscitava in quel periodo di fin de siècle.
con questo racconto Schnitzler si addentra nella mente torbida e tenebrosa del personaggio principale fino a farlo soffrire di manie di persecuzione acutissime fino a sconvolgere radicalmente il proprio operato..l'inconscio accumulato nella vita si riversa in maniera esposiva nella realtà.
Con una prosa lucida e disincantata, Schnitzler narra - dal punto di vista del protagonista - il lento ma inarrestabile precipitare nelle tenebre della follia di Robert. Vedovo da anni, reduce da una crisi che lo ha portato a trascorrere sei mesi di ferie lontano da Vienna, si appresta a riprendere il lavoro e a vivere un nuovo amore, quando la paura di diventare pazzo lo assale e lo condiziona, portandolo ad analizzare ipotetici sintomi e a vedere il tanto temuto stato mentale riflesso negli sguardi degli amici e del fratello. Ogni tentativo di razionalizzare fallisce e l’ossessione si impadronisce totalmente di lui, intrappolandolo in una notte senza fine. Il meglio di Schnitzler, senza alcun dubbio. E accanto al protagonista un timido Freud che sottiolinea come a quel tempo (anni a cavallo fra il 1910 e il 1920) l'Austria segnò il passo in Europa in moltissimi campi. Assolutamente da leggere.
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