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Delle cinque sezioni che compongono questo libro di versi, la più originale (pur nei suoi evidenti debiti soprattutto con Caproni) è senz'altro la prima, intitolata "L'ultima voce". Si tratta di 18 sonetti letterariamente vibranti, nervosi, secchi anche nell'utilizzo degli endecasillabi, coraggiosi nell'uso delle spezzature e degli enjambements, che senz'altro traggono la loro singolare forza dal tema trattato. La voce monologante è quella di "un giovane, quasi un ragazzo", unico superstite dopo una misteriosa operazione di polizia/pulizia che si è prefissa di sterminare qualsiasi ribelle, per costruire "un secolo ordinato". Il giovane è tenuto sotto osservazione, in cella, preda di incubi, di propositi di resistenza o di improvvisa resa: ("Rintuzzare i pensieri./ Fare la posta ai ricordi, snidare/ i sogni. I desideri."). In bilico costante tra tentazioni di delazione e fuga, e terrori allucinati, ed eroici proponimenti di non collaborazione col nemico. Fede, tradimento, difesa, morte, confessioni, torture, divise militari, inseguimenti, perquisizioni: la minaccia è concreta e impalpabile insieme: "Verranno con allegri portafogli./ Verranno con lame, aghi, aculei orrendi./ Verranno capi, sgherri e reverendi." L'unica, possibile via d'uscita sembra essere l'accettazione dell'immobilità: "Io, il più flebile, scampato per comando/ di un dio perfido, immobile domando/ perdono a voi, i per sempre fuggitivi"; "Spero che non mi facciano più uscire". E questa pervasiva sensazione persecutoria a cui non si sa come rispondere si respira anche nelle altre sezioni del volume, sia che il poeta parli di amori a cui teme di concedersi, o di amici che si sono allontanati, o del proprio corpo torturato dalle emicranie e dalle malattie nervose: "Penammo, sì, a star fermi,/ a non aver la forza/ che di star fermi".
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