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A dispetto dell'impietoso e affatto sommario giudizio qui sotto, questa raccolta di saggi può certo costituire un'ottimo punto di partenza per accostarsi ai nodi della riflessione di questo grande pensatore, nostro e del Novecento tutto. A coloro i quali s'interessino di etnologia, antropologia, e non da ultimo di filosofia, il testo in questione - e la ragionante scrittura della quale è intessuto - suscita e pone gli interrogativi più attuali sul senso del vivere umano civile, sull'orientazione di un essere-nel-mondo che non può non essere declinato secondo un consapevole e integrale umanesimo (il valore). Dalla lucida analisi della temperie intellettuale della prima metà del secolo scorso, condotta rigorosamente attraverso i termini dello storicismo "riformato" di de Martino, all'opera di inesausto smascheramento dei più oscuri percorsi - quando non si tratti di veri e propri tonfi- della Ragione occidentale (il furore), passando attraverso la tragica e fiera presa di coscienza della necessità di un orizzonte trascendentale per la cultura umana (il simbolo).
Nell'ambito degli studi etnologici e storico-religiosi italiani De Martino occupa un posto analogo a quello dii Gadda o Pasolini nella nostra letteratura; mi spiego meglio: cosi' come, in macanza di un Th. Mann, un Proust o un Joyce, siamo costretti a definire "grandi scrittori" Gadda o Pasolini, allo stesso modo - in mancanza di un Frazer o di un Eliade - definiamo "grande antropologo" Ernesto De Martino. Certo, nessuno nega i meriti di De Martino nell'averci fatto conoscere i risvolti etnologici del nostro Sud, ma è ormai tempo di interrogarci sull'effettivo valore delle sue posizioni teoriche. Un'analisi senza pregiudizi ci porta a riconoscere che De Martino è dipendente in tutto e per tutto da Eliade, Marx, Heidegger, che la sua interpretazione della religione come risposta culturale alla "crisi della presenza" non è che una (incongruente) applicazione di teorie materialistiche all'etnologia. I saggi di "Furore, Simbolo, Valore" forniscono ottimo materiale per una revisione critica del loro autore, essendo la migliore espressione del peggior De Martino, cioè del De Martino moralista che vede "irrazionalismo" in tutto cio' che non è materialismo dialettico, del De Martino che unisce la miopia dell'etnologo da biblioteca alla meschinità del censore (si vedano le osservazioni, in questo volume, su "Lo sciamanesimo" di Eliade). Particolarmente emblematico è il capitolo sui rituali in URSS,in cui il nostro, dopo qualche timidissima riserva, si lancia in una apologia dell' Unione Sovietica, lo "stato senza Dio saldamente ancorato nella storia" paladino "dell'unificazione socialista del nostro pianeta e della conquista degli spazi cosmici".
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