Il futuro spezzato. I nazisti contro i bambini
- EAN: 9788880570578
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Il futuro spezzato. I nazisti contro i bambini
Lidia Beccaria Rolfi,Bruno Maida
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recensione di Bravo, A., L'Indice 1998, n. 8
Per Lidia Rolfi, partigiana, sopravvissuta di Ravensbrück, l'espressione "ex deportato" era priva di senso: non si è mai ex quando ci si è dati il compito di testimoniare il lager e insieme di mantenere il cuore vigile contro ogni crimine presente e passato, l'orecchio attento alle voci delle vittime, in primo luogo delle meno ascoltate. Nascono così i suoi tanti dialoghi nelle scuole, un'opera tuttora fondamentale ("Le donne di Ravensbrück", con Anna M. Bruzzone, Einaudi) e il bellissimo racconto del suo ritorno ("L'esile filo della memoria"). Nasce anche il suo interesse per i bambini vittime del nazismo. Già steso in una prima versione nel 1968 (è di quella data la prefazione di Primo Levi), il libro incontra vent'anni dopo un interlocutore decisivo in uno storico giovane e di valore, Bruno Maida, che si affianca a lei riscrivendolo, e che dopo la sua morte lo completerà e lo porterà alla stampa. C'è dunque, al di là delle due firme, la doppia impronta del legame fra generazioni caro a Lidia Rolfi e della sintonia fra chi si è reciprocamente scelto.
"Il futuro spezzato" è un libro duro e commovente, che raccoglie e reinterpreta quanto in più di mezzo secolo ci hanno offerto opere a volte pregevolissime, ma che se ne distingue per l'impegno a comporre la storia di tutti i bambini sotto il Terzo Reich, anche dei piccoli tedeschi. Lo fa con grande e mai esibita sapienza dei nodi storici e delle acquisizioni sulla soggettività infantile, e con una decisa opzione in favore delle fonti narrative e delle memorie, comprese quelle di parte nazista. Il risultato è un testo a più livelli, che parla allo studioso ma non dimentica il lettore comune.
Al centro del quadro stanno la vita e la morte dei piccoli ebrei non solo nei lager, ma nella Shoah in generale, dai massacri degli "Einsatzgruppen* all'imprigionamento nei ghetti. Accanto a loro, i bambini zingari e i "politici", piccoli resistenti, figli degli esuli spagnoli arrestati in Francia; accanto ad Auschwitz, i campi per lo sterminio immediato, Terezÿin, Ravensbrück, Mauthausen. Un capitolo è dedicato a Italia e Dodecaneso, l'ultimo a un'intervista inedita ad Arianna Szoréni, ricordata come la Anna Frank della Risiera.
Ridotti ad adulti in miniatura, i bambini escono di scena. Nei ghetti ricompaiono in veste di piccoli contrabbandieri, che con il loro andirivieni da fuori a dentro le mura sostengono tutta la famiglia, trasformati da protetti in protettori. Nel lager diventano "uccelli senza nido", le prime vittime delle camere a gas, o schegge di forza-lavoro coatta, materiale da esperimento per i medici aguzzini, oggetto di piacere dei Kapo. Fra morte taylorizzata e caos arcaico, la storia di questi bambini residuali si disperde in tanti rivoli, si rifrange in comportamenti diversi. A fare la ricchezza del libro è precisamente il rispetto, direi la cura per la pluralità delle risposte individuali; è il rifiuto di rinchiuderle in tipologie, di affidare all'una o all'altra un valore esemplare, positivo o negativo che sia. È anche la netta distanza dalle visioni consolatorie, che vantano il trionfo finale del bene spesso facendo proprio della parola infantile una conferma oracolare: basta pensare alla torsione ottimistica del pensiero di Anna Frank. Quale esito abbia avuto l'esperimento di controllo dell'individuo attuato nel lager resta invece per Rolfi e Maida l'interrogativo indecidibile, da riaffrontare di caso in caso, di momento in momento. Una sola immagine unitaria percorre queste pagine, il bambino come vittima innocente ma non incontaminabile, e come bersaglio elettivo, insieme alle donne, di una politica che si impadronisce dei corpi in nome della "biologia razziale".
In questa prospettiva, non risulta affatto estrinseca la presenza di scolari e scolare tedeschi violentemente socializzati alla guerra o alla riproduzione, dei bambini uccisi nella cosiddetta eutanasia, di quelli vittime della meno nota Operazione Lebensborn, ricostruita in uno dei capitoli più nuovi. Immaginato da molti come un insieme di bordelli, il Lebensborn è in realtà una rete di cliniche-asili-prigioni create in Germania e poi nell'Europa occupata per rinfoltire i ranghi di una razza signorile sempre più restia a moltiplicarsi. Faccia speculare delle sterilizzazioni e degli aborti coatti, i Lebensborn non solo raccolgono le madri nubili tedesche e straniere "razzialmente pregiate", non solo si appropriano dei loro figli: con la guerra diventano lo strumento per "germanizzare" i bambini di altri paesi, rastrellati nelle scuole, negli orfanotrofi, a volte nei lager, rapiti per strada. Sono circa ventimila piccoli polacchi e ucraini, cui gli occhi azzurri e i capelli biondi costano la cancellazione di genitori, passato, lingua madre - lo sradicamento assoluto in cambio di un futuro tedesco in una famiglia, in una scuola, in un esercito tedeschi. Per gran parte di loro, neppure alla fine della guerra si aprirà la via del ritorno. Distrutti i documenti, eliminato ogni legame, i più resteranno con i parenti adottivi, spesso non arrivando mai a conoscere le proprie origini, spesso continuando a patirne il peso, "figli della colpa, stranieri in patria". "Non c'è giustizia per i bambini del Lebensborn", scrivono Rolfi e Maida; e cominciano a farla accogliendoli in questo libro e facendone amorosamente risuonare le rare voci.
