Indice
Le prime righe del romanzo
In giardino, luce abbagliante. Ellie mi segue a ruota. «Andate e non mettetevi nei guai.» Le foglie del melo gettano macchie d’ombra su noi due.
Ormai siamo lontane dalla casa buia con le tende chiuse. I cuscini ammucchiati da una parte. I mormorii e i sospiri che si trasformano in urla e pianti alla vista dell’alone d’acqua lasciato da un fondo di bicchiere. «Non si fa.» Non sono stata io: è sempre Ellie. Non è mai colpa mia, io sono quella brava, perché sono nata prima.
Eccoci in fondo al giardino, nascoste dietro il cespuglio di more. Uno sguardo all’indietro per controllare di non essere osservate. Campo libero. Armeggio con il chiavistello, il cancello si apre e lascia filtrare la luce calda dalla strada. Ellie ridacchia. Fa uno strano movimento, come se dovesse andare in bagno.
«Shh, Ellie» dico. «Vuoi che ci sentano tutti?»
Ellie diventa improvvisamente seria. La gente dice che il cordone ombelicale le si è attorcigliato intorno al collo, ed è per questo che a volte non è brava come me. Ma io so che lo fa apposta. Vedo come mi guarda quando la maestra la rimprovera perché è stanca.
«Pensi che dovremmo andarci senza dirlo a Mamma?» chiede.
«Stai zitta» sibilo spingendola avanti. «È solo Mary.»
Quando è il momento di dare una lezione a Ellie, si va da Mary. È più grande di noi, quindi è più brava a inventare giochi. Una volta, quando nessuno era venuto a prenderci a scuola, abbiamo portato Ellie al parco, l’abbiamo lasciata lì tutta sola e siamo tornate a casa di corsa. Ridevo così forte da non riuscire a respirare. Era davvero una lezione fantastica, molto più divertente che non starsene tutto il giorno a camminare in punta di piedi per casa, nelle stanze vuote.
Un’altra volta abbiamo provato a far mangiare a Ellie uno yogurt trovato in una busta di plastica appesa al muro accanto alla fermata dell’autobus. Le abbiamo tentate tutte, ma era così pieno di bolle, puzzolente e duro che Ellie si è rifiutata di toccarlo. Abbiamo anche provato a minacciarla e a dirle che era formaggio, ma niente.
La casa di Mary è in fondo alla strada. Non è come casa nostra perché è su un solo livello, come se qualcuno l’avesse stesa con il mattarello. E poi c’è un sacco di roba buttata in giro dove dovrebbero esserci il prato e le aiuole. Ma è come casa nostra perché dentro c’è un solo adulto, il padre di Mary, che traffica sempre con il martello e le chiavi inglesi in giardino, e a volte anche in bagno. E poi c’è suo fratello.
Bussiamo e dopo un po’ un’ombra riempie l’oblò di vetro della porta, facendolo assomigliare all’occhio di un drago che si apre. La porta gira sui cardini e un odore acre ci investe. Il fratello ci osserva, il viso sottile e le basette lo fanno sembrare un lupo.
«Ciao. C’è Mary?» chiedo.
«No» risponde il fratello con quel tono piatto e scontroso che secondo Mary è tipico di Manchester, dove vivevano prima. «È a farsi fottere da qualche parte.»
Ho un tremito, ma mi faccio coraggio e sostengo il suo sguardo da lupo.
«Fottere?» ripeto perplessa. «Dove?»
Il fratello fa un sorrisetto. Sposta gli occhi da me a Ellie. Dietro di lui, in casa, qualcosa luccica.
«Siete gemelle, eh?» chiede. «Quanti anni avete?»
Soffia una brezza leggera. Improvvisamente è come se la luce del giorno fosse troppo forte.
«Dobbiamo andare» taglio corto, e la trascino giù per la strada, mentre lei protesta ripetendo «ma, ma, ma…», aprendo e chiudendo la bocca come un pesce in un acquario.
Voglio solo andare via, allontanarmi, uscire dalla mia pelle e diventare un’altra me. Ma sulla strada ecco spuntare la signora Dunkerley, con in mano le buste della spesa e il consueto odore di cavolo che la segue ovunque.
«Bene, ragazze» dice. «Helen ed Eleanor, giusto? Ma chi è chi? Non riesco mai a capirlo. Siete due gocce d’acqua!»
Sono ancora agitata, ma rispondo educatamente spiegandole chi è chi. Anche se devo farlo ogni volta che la incontriamo. Anche se tutti sanno chi siamo. Anche se nessuno chiama mia sorella Eleanor.
«Splendido» esclama la signora Dunkerley, come sempre. «Vorreste entrare a prendere una tazza di tè con i biscotti, ragazze?»
Conosco bene i biscotti della signora Dunkerley. Abitano in un barattolo di latta arrugginito in cima al frigo, e alcuni sono pelosi.
«No, grazie, signora Dunkerley» rispondo nel tono più educato di cui sono capace. «Siamo impegnate.»
«Impegnate, davvero?» insiste lei. «Perbacco. Siete sicure di non aver tempo nemmeno per un tè veloce?»
«Temo di no, signora Dunkerley» ripeto. «Dobbiamo dare una mano a nostra madre.»
«Ah be’, quando è così…» dice la signora Dunkerley alzando la voce mentre stringo la mano di Ellie e la trascino verso il cancello di casa. «Ma tornerete presto, vero? E portate anche i vostri amici!»
Il cancello si chiude alle nostre spalle. Restiamo un attimo ferme all’ombra dei rovi.
«Cosa dobbiamo fare per Mamma?» chiede mia sorella.
«Per l’amor di Dio» esclamo, marcando la «d» in modo da farla risuonare come la grancassa nell’aula di musica a scuola. «Ma che cos’hai oggi, Ellie? Mi sembri più stupida del solito. Mamma non ci ha chiesto niente, l’ho detto solo per non dover andare a prendere il tè dalla signora Dunkerley.»
«Oh» sospira Ellie, rabbuiandosi. So cosa sta pensando. Sta pensando a Bill, il pappagallo della signora Dunkerley. Adora osservarlo mentre si agita nella sua gabbia. Se ne sta lì con il naso incollato alle sbarre e un’aria ebete e lo guarda con dolcezza, come se Bill fosse il suo unico amico al mondo e lei fosse convinta che un giorno fuggiranno insieme. Quando fa così mi viene voglia di darle una bella lezione, di quelle che non si dimenticano.
Ellie trascina la scarpa nella terra. Poi alza gli occhi su di me.
«Perché ha detto “fottere”?» chiede.
Sento un formicolio. Guardo Ellie, con i suoi pantaloncini corti e la maglietta rossa con le macchie di cibo. Stringo le palpebre finché tutto quello che vedo è la sua ombra scura con i codini sottili ai lati del viso e il sole che splende sullo sfondo. Nella mia testa, come nel disco preferito di Mamma dopo che Ellie l’ha rigato l’anno scorso, risuona sempre lo stesso ritornello: la voce della signora Dunkerley che ripete: come due gocce d’acqua, come due gocce d’acqua.
«Dai, Ellie» dico. «Facciamo un gioco.»