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Il genio dell'abbandono - Wanda Marasco - copertina
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Il genio dell'abbandono
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Il genio dell'abbandono - Wanda Marasco - copertina
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Descrizione


Scritto in una lingua vigorosa e raffinatissima che con movimento naturale vira verso il registro dialettale, Il genio dell'abbandono è sostenuto, come ha scritto Cesare Segre, da uno slancio drammatico che conferisce ai personaggi "uno stacco e un dinamismo straordinari"

«Sul tema del vuoto, della mancanza di appartenenza e di identità è costruito il bel romanzo di Wanda Marasco»La Repubblica

«Una scrittura raffinata in cui l'innesto tra il dialetto e l'italiano creano una lingua plurima»Cesare Segre

«È la storia di un reietto, fatta di cadute e risalite, di trionfi e polvere, quella che la napoletana Wanda Marasco ricostruisce entrando nella testa e nella carne del personaggio. Il dialetto, a tratti inventato, dà una forza enorme al racconto»Il Venerdì di Repubblica

Il genio dell'abbandono racconta la vita di uno dei grandi scultori italiani fra Otto e Novecento: Vincenzo Gemito. E lo fa mantenendosi in prodigioso equilibrio tra fedeltà al dato storico e radicale reinventazione dello stesso. Wanda Marasco prende le mosse dalla fuga dell'artista dalla clinica psichiatrica in cui è ricoverato, e da lì ricostruisce la storia agitata di un "enne-enne", un figlio di nessuno abbandonato sulla ruota dell'Annunziata, il grande brefotrofio del meridione. Il marchio del reietto – beffardamente impresso nel suo stesso nome che è il risultato di un errore di trascrizione – accompagnerà Vincenzo Gemito per sempre, quasi come un segno di divinazione. Il suo apprendistato lo farà nei vicoli, al fianco di un altro futuro grande artista, il pittore Antonio Mancini, suo inseparabile amico che diventerà anche coscienza di Gemito, suo complice totale e infine suo nemico. Vedremo così "Vicienzo" entrare nelle botteghe in cerca di maestri, avido di imparare. Lo seguiremo a Parigi, tra stenti da bohème e sogni di celebrità, e lo ritroveremo a Napoli, artista ambito da mercanti e da re. Vivremo il suo folle amore per la modella Mathilde Duffaud, che ne segna la vita come un sistema dell'erotismo e del dolore, un impasto di eccessi e delusioni che sfociano in una follia tutta "napoletana": intelligenza alla berlina, incandescenza e passioni spesso arrese a un destino malato di cui il "vuoto" di Napoli voracemente si nutre.
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Dettagli

2018
Tascabile
352 p., Brossura
9788865595060

Valutazioni e recensioni

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Ania
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Biografia romanzata di Vincenzo Gemito dove la Marasco, come in altri suoi scritti, utilizza una narrazione onirica al limite del visionario, ma adattissima per penetrare i meandri della mente del protagonista. Gemito infatti è stato un artista estremamente tormentato che per lungo tempo ha sofferto di allucinazioni.Testo di non facile lettura, per i deliri narrati e per l'uso del dialetto, ma molto intenso. Lo consiglio.

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Cloto72
Recensioni: 5/5

Wanda Marasco è geniale ed estremamente colta. Ho auto la fortuna di conoscerla ed ascoltare dal vivo la sua esperienza di vita e di scrittrice! Nei suoi libri ci sono Anima e Cuore! Sono scritti benissimo ed arrivano a toccare corde nell’animo di chi legge, che raramente vengono raggiunte da altri. Consigliato vivamente, come anche l’alto libro che ho preso nello stesso ordine “La compagnia delle anime finte”. Bello e commovente! Da leggere!

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Stefania S.
Recensioni: 5/5

Vincenzo Gemito, "meschino per nascita, magnifico per natura", alieno da compromessi, violento, passionale di una "passione violenta e umiliata", così nella vita così nell'arte: un uomo i cui capolavori furono "ruggiti" e che, anche nella follia, fu capace "di volontà dentro lo spazio della sua cella". Romanzo biografico o biografia romanzata, il libro della Marasco si snoda come un lungo monologo della follia, dove ricordi e dialoghi si rincorrono nel tempo e nello spazio, con risultati davvero di grande effetto. Il suo immaginario vibrante e potente non è riservato al solo Gemito, ma anche alla galleria di uomini e, soprattutto, donne della sua vita: riuscitissimi (e toccanti) i ritratti della madre Giuseppina, dell'amante Matilde (con cui si apre il romanzo) e della figlia Peppinella (con cui si chiude). La lingua è elegante e sofisticata anche quando si serve del dialetto: che dire di una luce lunare, "quoziente onirico della luce"? O degli occhi di Giuseppina che "a ogni allattata si squagliavano come quelli di una Psiche"? L'uso del dialetto finisce per incidere su dialoghi e pensieri, anche i più banali, esaltandone drammaticità o ridicolo, a seconda del contesto: comici ho trovato, ad esempio, il dialogo tra Ernest Meissonier e Vincenzo (dove alle considerazioni, in francese, dell'uno, su Napoleone e la Comune, fanno eco i pensieri/risposte, in napoletano, dell'altro) e anche quel coltello, con cui Viciè voleva uccidere la moglie e l'amico, finito inopinatamente tra i "vruòccule". Un ritratto, quello della Marasco, che sa di vero e di profondamente sentito, nella celebrazione di un artista tormentato, fino alla morte (come l'altro Vincent, suo contemporaneo), dal tarlo dell'inadeguatezza e dal dubbio del fallimento. Perchè, come dice Vincenzo alla morte di Matilde: "non ci sta vergogna più grande della grazia perduta".

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Voce della critica

Vita e lingua reinventate, il Gemito di Marasco

Ci sono autori che sgomitano, presenziano, straparlano, commentano tutto e su tutto sono interpellati (magari raramente su letteratura e dintorni) e sono insopportabili sui social network. E poi c’è una categoria che ci convince di più, costituita da quelli che “parlano” principalmente attraverso le opere che scrivono. A questa schiera appartiene Wanda Marasco, di cui Beat ha riproposto il titolo più celebre, in origine edito da Neri Pozza, ovvero Il genio dell’abbandono (352 pagine, 10,50 euro).

Non è una semplice biografia romanzata del celebre scultore Vincenzo Gemito, quella che ha scritto Wanda Marasco. Con una lingua ricercata e raffinata, a tratti inventata, la scrittrice napoletana fa sposare, in una bizzarra commistione, storia e reinvenzione, vita vissuta (date e viaggi, in particolar modo) e immaginazione. Dai vicoli di Napoli a Parigi (dove contrae la sifilide, “il mal franzese”), dal grande amico, coscienza e complice, Antonio Mancini, pittore, al grande amore Mathilde Duffaud, modella, ad altri personaggi indimenticabili Marasco pennella le passioni incandescenti di una vita raminga e piena di eccessi, di uno slancio dinamico nella gioia e nel dolore. “Vicienzo” è “pazzo in latitudine e longitudine” e ha il “carattere di una putenta frèva”: la febbre di chi, impavido, lotta per affermare la propria identità e il proprio talento e, tutto sommato innocente, crede solo nell’arte. Orfano e indomabile, vittorioso e sconfitto, Gemito non impiega molto a conquistare il lettore, a travolgerlo.

Dal primo abbandono, quello in fasce sulla ruota dell’Annunciata, alla vocazione artistica, all’apprendistato, ai successi è un escalation di convulse azioni e parole, di separazioni soprattutto. Gemito (e non Genito, come aveva suggerito una suora all’anagrafe), “o scultore pazzo”, mai appagato e mai sereno, vivrà un burrascoso matrimonio, disturbi psichici che lo condurranno al manicomio di Capodimonte (la sua fuga da lì apre il romanzo), un complesso e controverso rapporto con Peppinella, la figlia, sodale ed estranea, raggiunta anche sotto forma di fantasma dal padre. Sembra di assistere a una incalzante rappresentazione teatrale (e il romanzo ha avuto una riduzione, successivamente alla pubblicazione), la cui drammatizzazione s’accompagna a un registro linguistico d’assoluta originalità, avvolgente, di grande fluidità fra italiano e napoletano, che Marasco riesce a tenere lontano dall’effetto folklore.

Protagonista niente affatto nascosta de Il genio dell’abbandono è una Napoli non da cartolina, sebbene coloratissima, città di morte e resurrezione, “uno squilibrio di collera, malaffare e debolezza”. Erotica, vitalissima e vertiginosa, fra piazze e vicoli, piena di derelitti e nobili, fra bassi e salotti, mercanti e delinquenti, Napoli si fa, sulla pagina di Wanda Marasco, voracissima, bocca e ventre, si lascia respirare, masticare, digerire. Quello di Marasco è un romanzo che si attacca alla pelle e alla mente di chi lo legge.

Recensione di Giovanni Leti

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Conosci l'autore

Wanda Marasco

1953, Napoli

Wanda Marasco è scrittrice, attrice, regista e insegnante napoletana.Si laurea in Filosofia e si diploma a pieni voti in Regia all'Accademia d'Arte Drammatica «Silvio D'Amico» di Roma, sotto la direzione di Ruggero Jacobbi.Per un certo periodo insegna Lettere all'Istituto Tecnico Industriale «Galileo Ferraris» nel difficile quartiere di Scampia. Amica del poeta Dario Bellezza, la stessa Marasco è una poetessa: inizia a scrivere le prime raccolte giovanissima, tra i sedici e i vent'anni. Nel 1977 pubblica la raccolta Gli strumenti scordati, e due anni dopo L'attrito agli specchi. Nel 1978 le viene assegnato il Premio per la poesia «William Blake».Negli anni seguenti pubblica ancora poesie con le raccolte Deus Inversus, Le fate e i detriti, Metacarne,...

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