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Giardini crudeli - Angiolo Bandinelli - copertina
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Giardini crudeli

Descrizione


"Il giardino è il labirinto, dentro ogni giardino c'è un vago orrore di violenze e di blandizie, di sacrifici crudeli. Chi riuscirà a cogliere i segreti e le metafore di un giardino, le trame grazie alle quali i suoi proprietari consumano il rapporto con uno spazio delimitato e fantastico, con una natura ristretta eppure imprevedibile, quasi sempre fallendo e ritraendosene amareggiati?". Cammei delicati di giardini e persone, passioni travolgenti e tremende arrabbiature che hanno per oggetto piante e fiori: rose, soprattutto...
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Dettagli

2014
29 ottobre 2014
78 p., Brossura
9788865985434

Voce della critica

  Come il suo titolo, questo breve romanzo ha due versanti complementari. Il versante paradisiaco, al quale allude la parola "giardini": un piccolo mondo di cespugli preziosi e piante rare su cui "la cupola del cielo si incurva trasparente (…) mentre compare una nuvola di biancore latteo, materializzandosi come una dolcissima impurità nello specchio terso dell'aria". Da questo versante è però inscindibile quello della crudeltà: foglie e radici lottano ferocemente "per occupare un palmo di terra, uno squarcio d'aria, un raggio obliquo di luce". Come Calvino nel suo bellissimo racconto Dall'opaco, che riflette sul misterioso confine tra il mondo soleggiato e il suo oscuro, vertiginoso rovescio che si prolunga nelle viscere della terra, anche Bandinelli ci introduce in una realtà bifronte. Da un lato i suoi giardini sono, per i loro possessori, realizzazione di desideri, perseguimento di antichi sogni infantili; dall'altro sono il luogo di cocenti delusioni, il terreno su cui l'umana volontà di disciplinare la natura è tenuta sotto scacco dalla proterva vitalità di incontrollabili forze primigenie. L'instabile equilibrio tra bellezza e violenza, tra crudeltà e tenero accudimento non può risolversi in una pacificata immobilità, pena la fuoruscita dalla vita. Siamo in un borgo ai confini della Toscana. Ruderi e stalle ingegnosamente riattati si sono trasformati in villette di forma irregolare, ammantate di rampicanti. Nei relativi giardini, a volte poco più grandi di un fazzoletto, i proprietari si sforzano (nello spazio di un week end o delle ferie estive) di liberarsi del loro status di cittadini per trasformarsi in solerti giardinieri, instancabili con tosaerba e cesoie, spietati con le erbacce, curiosi e spesso invidiosi dei successi dei vicini. La giovane coppia al centro del racconto, formata da Matteo e Camilla, non fa eccezione: cura con amore le sue piante officinali (anche se è un po' inquieta per l'anomalo sviluppo di un rosmarino gigantesco), spia le scenografiche rose dei vicini con una punta di acredine, ironizza sullo zelo con cui un'altra vicina, Sara, estirpa i fiorellini selvatici da un giardino di cui per altro sarebbero l'unico ornamento. Ma un piccolo dramma interviene a turbare la routine: Leo, un amico al quale Matteo e Camilla hanno prestato la casa, ha potato con incomprensibile accanimento un cespuglio di rose, riducendolo a un troncone coperto di nere cicatrici. È una prima crepa nella fittizia serenità della coppia. Poco a poco ne affioreranno altre, dalla discussione su una piantina di lillà che Matteo ha rubato, a crescenti tensioni che prendono spunto da scene di inevitabile quotidianità campagnola, come la tortura inflitta dal gatto a un povero topolino. Siamo di fronte a una metafora, questo è certo. Ma è la crudeltà della natura ad alludere ai sottili rapporti di sopraffazione tra gli esseri umani, o sono gli antagonismi degli umani a raccontarci (in un'altra chiave) la lotta per la sopravvivenza delle iris che soffocano le rose nane, delle campanule che si avviticchiano ai gigli in un abbraccio mortale? Nell'impossibilità di rispondere a questa domanda credo risieda il fascino di questo apologo, che non sfocia in una morale a senso unico ma si libra sospeso su un mondo fantastico di straordinaria concretezza.

Mariolina Bertini

 

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