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Colonizzazione di vacant lots, spazi abbandonati all'interno della città, i community gardens sono microcosmi verdi altamente evocativi, ma soprattutto fondamentali per il miglioramento della qualità della vita urbana. Precari, marginali, anonimi, vernacolari, testimoni di una creatività e di un'estetica al di fuori di schemi riconosciuti, "recinzioni etiche" che accolgono l'agire umano (secondo la definizione di Massimo Venturi Ferriolo contenuta nella postfazione), spazi dell'incontro e del confronto, giardini collettivi, gestiti e mantenuti da comunità eterogenee di persone. Michela Pasquali ne compie un'attenta lettura, partendo da una breve storia dei community gardens negli Stati Uniti, concentrandosi poi sui giardini presenti in gran numero a Loisaida, piccolo quartiere del Lower East Side, a Manhattan, un tempo luogo di immigrazione, emarginazione e degrado, oggi interessato dal fenomeno della gentrification e da nuove speculazioni che minacciano di cancellare quegli stessi giardini che hanno dato avvio alla riqualificazione. Vengono analizzate le principali caratteristiche, dimensioni, morfologia, vegetazione, situazione idrica, elementi decorativi, così come le problematiche relative alla gestione e organizzazione, sottolineando il fondamentale contributo delle associazioni che continuamente sostengono, promuovono e cercano di tutelare i giardini, assicurando loro un futuro meno incerto. I community gardens vengono così a delinearsi come recinti protetti, custodi di una natura sempre più minacciata, da difendere, in un ribaltamento completo del rapporto individuo-natura alla base dell'idea stessa di giardino. Inoltre, possono diventare punto di riferimento per la vita del quartiere, veri e propri community centers, luoghi di promozione, manifestazioni, incontri, progetti, iniziative, attività didattiche, ma anche contenitori d'arte, quindi spazi culturali aperti, di confronto e comunicazione interculturale.
Luca Riccati
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