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Anno edizione: 2016
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Einaudi; 2008; 9788806179991; Rilegato con sovracoperta; 22,5x14,5 cm; pp. 406; Traduzione di E. Kampmann; ancora nel cellophane; Come nuovo (come da foto). ; John Ames ama con la forza e lo stupore dei bambini, e forse dei santi. C’è un trasporto limpido e grato nel suo amore per la moglie e per il loro figlioletto; una meraviglia sempre sorridente eppure consapevole nella sua adesione alla vita e a tutto il mondo che la ospita, dall’ultimo filo d’erba al più sottile costrutto del pensiero. John Ames un bambino non è – ha 76 anni ed è il pastore congregazionalista di Gilead, cittadina di poche anime nel cuore dell’Iowa – ma un santo forse si appresta a diventarlo, ora che una malattia cardiaca lo sta spegnendo. Ecco dunque la decisione, in quella primavera del 1956, di lasciare testimonianza di sé al figlio che non vedrà crescere. A partire dalle sue ascendenze: la storia degli altri due reverendi John Ames, nonno e padre, che prima di lui hanno assolto quella funzione. Un abolizionista radicale, il primo, guerrigliero accanto a John Brown e volontario nell’esercito unionista, che, folgorato da una visione in giovane età, comunica con Dio da pari a pari e sceglie di esserne il braccio armato in nome di un’inflessibile giustizia. Pacifista convinto, il secondo, che del proprio mandato privilegia l’osservanza, e vive una vita di reazione implosiva all’esplosiva azione paterna. Il terzo John Ames, lo scrivente, racconta delle loro eredità, dei saperi e delle esperienze che gli hanno permesso di coniugarle, della sua esistenza di studio e servizio in un luogo, Gilead, che dispensa con parsimonia il suo biblico balsamo, della lunga separazione dalla vita vissuta fino alla tarda folgorazione dell’innamoramento e alla rinascita in una piena e matura felicità. Sembra aver vinto ogni battaglia, John Ames: quella con i suoi morti e i suoi demoni, quella con la perdita e l’abbandono, quella con l’ingiustizia e lo scontento, quella con l’inadeguatezza e la miscredenza....
Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Una lunga riflessione sulla vita, sulla fede, sulle opportunità e le scelte. Una scrittura magistrale che, come poche volte accade, è stata accompagnata da una traduzione assolutamente all'altezza. Non ho l'abitudine di sottolineare i libri ma in questo caso ho dovuto fare un'eccezione e leggere con la matita di fianco. Un libro che non dimenticherò facilmente..
Sono insegnante di lingua: come si può definire sempliciotta questa prosa?
C'è una cittadina, Gilead, che è " un gruppo di case raccolte lungo poche strade" e c'è il vecchio reverendo Ames che nella sua vecchiaia ha generato, con Lila, molto più giovane di lui, un figlio. Ames è malato di cuore e sentendo che il giorno della sua vita declina verso il tramonto decide di lasciare al figlio una lunga lettera, in cui parla di sé, della sua infanzia, di religione, di principi morali... Poi c'è anche Jack, che è sempre stato la pecora nera della numerosa famiglia del reverendo Boughton, amico e alter ego di Ames. Jack, figura tormentata e psicologicamente sofferente, è ritornato a Gilead dopo vent'anni di assenza e non è ben visto da Ames. La Bibbia, però, invita alla misericordia e al perdono e Ames lo benedirà con la benedizione dei Numeri: " Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda la pace".
Recensioni
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"Non c'è un balsamo in Gilead?" domandava il profeta Geremia. "Non c'è proprio un balsamo in Gilead?" insisteva l'anonima voce in The Raven di Edgar Allan Poe, e il malefico corvo naturalmente rispondeva: "Nevermore". Di quel balsamo che guarisce le ferite sono invece cosparse le pagine di Gilead di Marilynne Robinson, uno di quei rari libri capaci di sorprendere il lettore, mosche bianche in un panorama editoriale non troppo variegato.
Gilead, che nelle Bibbie italiane appare solitamente come Galaad, e che alla lettera in ebraico significa "mucchio della testimonianza", è una regione della Transgiordania, ma qui è il nome della piccola cittadina dell'Iowa in cui vive il protagonista, il reverendo John Ames, predicatore congregazionista, figlio e nipote di predicatori e padre in tarda età di un figlio giunto in extremis. Proprio al figlio, che ha sette anni, il reverendo ormai alle soglie della morte (siamo nel 1956) indirizza un diario questo libro che è insieme memoria famigliare, giornale quotidiano, zibaldone spirituale, lascito teologico e summa di un'esistenza.
Un'esistenza appartata, silenziosa (se si escludono i tanti sermoni domenicali) e quasi priva di avvenimenti, ben diversa da quella del nonno, profeta visionario, agguerrito abolizionista, sostenitore della lotta armata contro la schiavitù, e diversa anche da quella del padre, convinto pacifista di tendenze quacchere, in conflitto tanto con la generazione precedente quanto con quella successiva influenzata dalla speculazione filosofica europea e ormai a disagio con i dogmi indiscussi. Un'esistenza trascorsa nella solitudine e nella preghiera, fra letture di "vecchi libri" e partite di baseball ascoltate alla radio. Un'esistenza solo in tarda età illuminata dall'amore di una donna, una donna "intensa e severa", apparsa dal nulla come un angelo, o come una donna di Betania, con il suo vaso d'alabastro pieno d'olio profumato, pieno di balsamo.
La gratitudine verso Dio per questa tardiva inattesa consolazione è il tratto dominante del protagonista, il chiavistello che gli permette di posare su tutto ciò che lo circonda uno sguardo purificato, di riconciliarsi con le figure ostiche del nonno e del padre, di abbracciare nel ricordo il lontano fratello Edward (studioso di quel Feuerbach che, se per Edward è stata la via maestra all'ateismo, per John Ames è un imbattibile cantore degli "aspetti gioiosi della religione") e, infine, di accogliere e perdonare e benedire il giovane Jack Boughton, figlio scapestrato e impenitente del suo più caro amico, e per lui fonte di ansietà e gelosie senili.
Senza quasi che il lettore se ne accorga, Marilynne Robinson racconta in questo libro niente meno che la storia di un santo, un santo che non si fa annunciare da roboanti miracoli e che mai oserebbe proclamarsi tale, e l'inconsueto fascino del libro sta proprio in questo dire tutto dando l'impressione di non dire niente, con uno stile profondo e umile (molto ben reso in traduzione) che è l'esatto contrario del vuoto virtuosismo di tanti scrittori che vanno per la maggiore.
Non a caso la carriera letteraria dell'autrice è decisamente parca e anticonvenzionale: un romanzo di buon successo uscito quasi trent'anni fa, Housekeeping (1980, tradotto da Serra e Riva nel 1988 con il titolo Padrona di casa); un'accurata indagine sull'inquinamento nucleare in Gran Bretagna, Mother Country (1988); infine una raccolta di saggi, The Death of Adam (1998), in cui già compaiono molti dei temi di Gilead: il calvinismo, la tradizione puritana, la teologia protestante, l'abolizionismo. In mezzo, evidentemente, molto studio e molto pensiero, a raffinare, con la cauta cadenza di un libro al decennio, una scrittura di una densità straordinariamente lieve.
Dietro John Ames c'è il curato di campagna di Bernanos, con il suo estremo "che importa, tutto è grazia", ci sono le austere canoniche dei film di Dreyer e Bergman, magari anche le "scene di vita clericale" dei, disgraziati, pastori di George Eliot (non a caso traduttrice inglese dell'Essenza del cristianesimo di Feuerbach). Ma questo romanzo si distingue da quei precedenti per una tonalità inconfondibilmente americana. Le "rovine di un antico coraggio", la "tradizione di antiche prodezze e speranze" che il reverendo conta di trasmettere al figlio fanno pensare a una delle più grandi scrittrici religiose del Novecento, la cattolica Flannery O'Connor. Se non fosse che a Gilead il cielo non è dei violenti, e se non fosse che, a differenza di John Ames, nessuno dei febbricitanti personaggi di O'Connor ballerebbe mai un valzer stringendo fra le braccia la Lettera ai Romani di Karl Barth. Norman Gobetti
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