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Il gioco del panino - Alan Bennett - copertina
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gioco del panino

Descrizione


"È l'unica parte della mia vita che mi sembra giusta... ed è quella sbagliata". Nel tentativo di evitare gli spoiler, non diremo a cosa si riferisce l'addetto alle pulizie che è il protagonista del Gioco. Ma la sua situazione è simile a quella in cui si trovano, negli altri monologhi di questa raccolta, la commessa di un grande magazzino, l'impeccabile casalinga probabilmente all'oscuro dei molti e sanguinosi misfatti del marito, l'antiquaria che si lascia sfuggire, per avidità, il colpaccio della vita, e altri ancora: un punto di svolta, dove esistenze fino a quel momento anonime si squarciano, facendo affiorare una realtà ingovernabile, sordida, agghiacciante. È quanto succede abitualmente ai personaggi dell'autore più amato d'Inghilterra, certo. Ma è anche quanto succede, o rischia di succedere, a ciascuno di noi. Il che spiega piuttosto bene quello che si potrebbe chiamare, d'ora in avanti, il paradosso Bennett: ridere - da morire - leggendo qualcosa che, a pensarci meglio, così ridere non fa.
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Dettagli

2016
17 marzo 2016
131 p., Brossura
9788845930584

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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cristina
Recensioni: 2/5

Non mi è piaciuto, rispetto invece ad altri libri di Bennett. Solito umorismo inglese tagliente e solite atmosfere grottesche (e comunque, sia chiaro, non si ride affatto!), ma stavolta ho trovato le storie troppo caotiche, piene di riferimenti non spiegati e forse troppo brevi per consentire al lettore di entrare pienamente nell'atmosfera di ciascuna storia, che resta invece come un brusio di fondo captato per caso, a volte persino noioso, niente affatto coinvolgente.

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angelo
Recensioni: 3/5

Ingredienti: sei monologhi rapidi, cupi e ironici, sei personaggi in cerca di una mancata fortuna, un’atmosfera tipicamente inglese sospesa tra buone maniere e cattive abitudini, un terreno di (s)fondo ambientato tra giardini, salotti e botteghe. Consigliato: a chi preferisce piccoli cammei a grandi affreschi, a chi ama l’umorismo inglese nella sua versione più sobria e delicata.

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Ely
Recensioni: 3/5

Buona parte dei libri di questo autore sono molto particolari e non adatti a tutti. Tranne il primo libro che ho letto, "La sovrana lettrice " che è un vero racconto, tutti gli altri sono da leggere con calma e nel clima giusto perché vanno ragionati e capiti. Non è certo un autore adatto a tutti, e devo ammettere che spesso non l'ho apprezzato, ma questo libro l'ho trovato in biblioteca tra le novità e ho deciso di prenderlo per un momento in cui sarei stata ispirata. Si tratta infatti di una raccolta di sei monologhi raccolti negli anni dall'autore e pensati per la televisione o il teatro, ma comunque vanno letti quando e se ne abbiamo voglia, una forzatura li renderebbe poco apprezzabili. Prima di ogni monologo viene indicata l'ambientazione dove si trova il protagonista e le varie pause, con eventuali effetti sonori o di scena. Con un poco di fantasia è possibile immaginare il personaggio nella sua ambientazione mentre parla. Tutti i monologhi, uno per capitolo, vanno letti e ragionati perché ogni uno propone una morale più o meno nascosta, sempre molto tagliente e puntigliosa, spesso con ironia al vetriolo o con sofferta rinuncia. Ogni singolo monologo presenta alcuni particolari, ambientazioni o narrazione che lo possono rendere immedesimabile nel quotidiano, ma attenzione sempre a leggere con la dovuta ironia. Il libro inizia con una prefazione da parte dell'autore che spiega la scelta di ogni monologo inserito nel libro, per cui sarà facile potere capire ogni capitolo proposto, basta leggere la prefazione, che diciamocelo è quasi più lunga degli interi monologhi. Certo non è un libro per tutti, e non è adatto a chi desidera un paio di ore di svago, perché per la lettura bisogna avere la mente sgombra e riflettere su ogni riga letta. Ogni tanto non mi dispiace questo genere di lettura, ma devo essere dell'umore giusto, e non è facile fare combaciare il giusto umore con la disponibilità del libro giusto...

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La recensione di IBS


Una lettura incisiva e brillante, condita da un riso affilato e feroce, distillata da una nota di grottesco. Bennett è tra i più grandi osservatori della piccola borghesia inglese e delle debolezze della società, e lo fa spogliando tutti dalle vesti del “buon costume”, lasciandoli nella più impietosa nudità.

Così, l’incresciosa ispezione procede. Il funzionario continua a scoprire materiali imbarazzanti: idee che il drammaturgo credeva di aver abbandonato da un pezzo, un vecchio matrimonio, un insegnante morto e persino un paio di corpi stretti in un amplesso dimenticato. Sono tutte cose che non si era mai sognato di portare con sé, ma che per qualche ragione sono finite dentro quella capiente valigia: la sua commedia.

Irrisorio e terribilmente divertente, caustico e giocoso fino ad abbracciare l’acume del divertissement “bennettiano”, il drammaturgo più celebre di Leeds ricompare nella nuova pubblicazione di Adelphi con i suoi monologhi televisivi scritti per la BBC, i Talking Head, qui nella loro seconda serie: Il gioco del panino.
Se il riso ha da sempre una funzione sociale è perché tutto ciò che fa parte delle regole del buon uso e consumo della nostra “socialità” sottostà a regole terribilmente comiche, soprattutto se osservate dietro il buco di una serratura. È l’indagine di una quotidianità paradossalmente normale quella in cui Alan Bennett va ad attingere per i suoi personaggi, i suoi luoghi… sono i negozi dell’infanzia a Leeds, la madre che detergeva la casa in una sacra cerimonia di purificazione, i grandi magazzini della cittadina, il negozio di scarpe della zia di Alan. Ma non cadiamo nella tentazione di indagare i riferimenti della vita di Bennett nella sua opera, perché lo stesso autore ci tiene a sottolineare nell’Introduzione come «il rapporto fra la vita e l’arte non è mai così chiaro come in genere suppongono il lettore o il pubblico». Ridiamo con Alan, allora, ma lasciamolo fuori.
Probabilmente quello che ci fa divertire, per poi lasciarci quel sapore di acre nel palato, è qualcosa che ha molto più a che fare con noi, il senso di pudore che ci fa prendere le distanze dalle sorti di chi troviamo ridicolo… forse perché ci specchiamo nel nostro riflesso? In effetti i personaggi de Il gioco del panino sono proprio i nostri vicini di casa, i nostri negozianti, il medico, l’addetto alle pulizie del parco, la casalinga ingenua e impeccabile, ignara delle atrocità di cui il marito è capace. Personaggi mutevoli e sbiechi, mai trasparenti, ma screziati da caratteristiche comiche – o tragicomiche – ma soprattutto insospettabili, dalle vite apparentemente immacolate. Piccoli “esercizi di stile”, monologhi concentrati in una dissacrante ironia, ma indipendenti tra di loro e accostati da vite comuni e ordinarie che, a un certo punto, si spezzano: qualcosa si rompe facendo esondare una realtà che sonnecchiava di nascosto, che si rigetta fuori indocilmente, lasciando sul suo cammino strascichi sordidi e raccapriccianti.
Un Bennett che si prende gioco della dignità di queste vite e che ci racconta storie che non solo emergono dalla pagina con dissacrante e tagliente ironia, ma ci aspettano al varco per ricordarci che, tutto sommato, sono eventi che potrebbero tranquillamente accadere anche a noi…

Conciso e affilato, il linguaggio di Alan Bennett non smentisce mai il suo genio di drammaturgo e i dialoghi, che s’inseguono velocemente, sono tratti con un gusto tale dalla realtà che sembra di essere in coda alle Poste ad ascoltare i mormorii indignati della calca. Dialoghi dal grande acume, intrisi d’inconfondibile umorismo british, leggeri e geniali. Una lettura incisiva e brillante, condita da un riso affilato e feroce, distillata da una nota di grottesco. Bennett è tra i più grandi osservatori della piccola borghesia inglese e delle debolezze della società, e lo fa spogliando tutti dalle vesti del “buon costume”, lasciandoli nella più impietosa nudità. Ridiamo senza cinismo, ma per un attimo ci giriamo dall’altra parte per paura di esserne complici.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Alan Bennett

1934, Leeds

Alan Bennett è nato a Leeds, nello Yorkshire, il 9 maggio 1934. Il padre era macellaio, la madre casalinga. A Cambridge, Bennett comincia a scrivere sketch insieme a Michael Frayn. Poi si diploma, e gli ci vogliono due anni per decidere di non diventare pastore della chiesa anglicana. Ma la vocazione e la sua crisi si rivelano proficue, se nel 1959 Alan Bennett debutterà al Fringe Festival di Edimburgo proprio con la parodia di un sermone. Nel 1965, dopo una fortunatissima serie di spettacoli insieme alla rivista «Beyond the Fringe», viene ingaggiato dalla BBC come attore. Nel 1968 mette in scena il primo dei suoi grandi testi, Forty Years On. Nel 1983 scrive il testo di An Englishman Abroad, film per la TV con la regia di John Schlesinger; sua è anche la sceneggiatura...

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