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La gioia tranquilla del ricordo. Memorie 1905-1934 - Manlio Rossi Doria - copertina
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La gioia tranquilla del ricordo. Memorie 1905-1934
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La gioia tranquilla del ricordo. Memorie 1905-1934 - Manlio Rossi Doria - copertina
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Dettagli

1991
354 p.
9788815032263

Voce della critica


recensione di De Benedictis, M., L'Indice 1992, n. 2

La pubblicazione, a tre anni dalla morte, dell'autobiografia di Manlio Rossi-Doria - uno dei più vivi ed acuti economisti agrari di ogni tempo e ultimo esponente del grande meridionalismo - prova quanto ricca e connaturata fosse in lui la propensione al racconto e, altrettanto radicata, la curiosità intellettuale del biografo.
Sebbene su scala minore, prove dell'esistenza di qualità siffatte si erano già avute con la nutrita famiglia di biografie di amici e maestri, alla cui costruzione Rossi-Doria, negli anni della tarda maturità e della vecchiaia, aveva dedicato non poco tempo e molta passione (una significativa selezione di questi profili, curata da Piero Bevilacqua, è ora raccolta nel volume "Gli uomini e la storia", Laterza, 1990). L'obbligo di testimonianza che Rossi-Doria avvertiva fortissimo sia nei confronti delle figure del grande meridionalismo (Nitti, Fortunato, Salvemini per citare solo alcuni), che degli amici con cui, in momenti diversi, aveva condiviso passione politica e impegno civile (Sereni, Rossi, Levi, Scotellaro, tra gli altri), viene assolto - come osserva acutamente Bevilacqua - ricorrendo "a schemi di impostazione e a moduli narrativi uniformi e ricorrenti, a una sorta di modello ideale di biografia".
Non sappiamo se Rossi-Doria coltivasse da tempo il progetto di sottoporre il "modello", così felicemente messo a frutto nella ricostruzione degli itinerari di vita di amici e maestri, ad una prova ben più impegnativa e complessa: ripercorrere e rileggere nel profondo la parabola della sua stessa esistenza. Sta di fatto che il lungo e sistematico viaggio all'interno della memoria, intrapreso quando egli era ormai molto avanti negli anni, rimane incompiuto e si arresta quando il protagonista non ha ancora superato la soglia dei trent'anni. E tuttavia, la testimonianza che Rossi-Doria ci ha lasciato non si presenta con i connotati del provvisorio e del parziale bensì con quelli di una sorprendente compiutezza. Non è possibile qui dar conto della ricchezza del racconto, della folla di bozzetti di ritratti di familiari, amici, maestri che accompagnano la crescita umana e intellettuale del protagonista, dalle agiatezze e dal "caldo della famiglia" in una Roma di inizio secolo alle durezze del carcere fascista.
Quando, diciannovenne, nell'autunno del 1924, Rossi-Doria si iscrive all'Istituto Superiore di Agricoltura di Portici, la scelta meridionalista e antifascista è già in lui ben radicata. Le vicende e il clima degli anni dell'infanzia e della prima adolescenza avevano contribuito non poco alla maturazione precoce di un orientamento politico così netto e determinato. In primo luogo; il fascino esercitato dalla figura paterna, medico di professione e socialista di credo politico, che, in piena coerenza con la posizione di interventismo democratico, era partito volontario trasferendo la famiglia al nord. (Il solido rapporto affettivo tra Rossi-Doria e la campagna lavorata dagli uomini ha il suo xxxx nel corso di quegli anni tempestosi, e in particolare nel contatto con il tranquillo mondo contadino e cattolico del Bresciano, qui osservato con lo sguardo candido ma partecipe della fanciullezza). Durante gli anni universitari (gustosissime sono le pagine in cui viene rievocata l'atmosfera della vita universitaria porticese a metà degli anni venti) l'impegno meridionalista assume contorni e contenuti di più esatta definizione, cui non poco contribuiscono la frequentazione, con Enrico ed Emilio Sereni, Giorgio Amendola ed Enzo Tagliacozzo, della casa di Giustino Fortunato e, soprattutto, l'esperienza di campo in Val d'Agri, durante le estati trascorse presso l'azienda di Eugenio Azimonti.
La conoscenza diretta del Mezzogiorno agrario e, in particolare, delle condizioni di vita del "popolo nero che si addensa sulle desolate coste dell'Appennino calabro-lucano" - per usare le parole di Guido Dorso - si approfondisce durante la preparazione della tesi di laurea, nel biennio di intensa attività di ricerca in Campania come borsista dell'Osservatorio di economia agraria e, sul piano emotivo, in occasione della toccante missione con Zanotti Bianco ad Africo, nel cuore oscuro dell'Aspromonte. Un insieme di esperienze - ricorda Rossi-Doria - che avrebbero "rafforzato in me, insieme con il giovanile proposito di dedicare la mia esistenza al Mezzogiorno, il giudizio che mi ero fatto della sua miseria e degli intollerabili rapporti di classe che ne erano alla base".
Quanto, poi, alla seconda grande scelta, quella comunista, con l'analisi puntuale delle ragioni che la determinarono e della sequenza degli eventi che la accompagnarono, la rievocazione di Rossi-Doria concorre a far luce sulla controversa questione dei tempi e dei modi con cui nasce e si consolida il nucleo comunista napoletano. Scavando minuziosamente nel profondo della memoria, in un evidente sforzo di massima obiettività, vengono ripercorsi i momenti di riflessione e di confronto che lo portarono, con Giorgio Amendola, a cedere nel "braccio di ferro" con Sereni e ad abbracciare il credo comunista. A differenza di Sereni, il cui passaggio dal sionismo alla fede comunista aveva alle spalle una fortissima componente ideologica, nel caso di Amendola e di Rossi-Doria - il cui impegno antifascista era stato inizialmente assunto da posizioni di socialismo liberale -, la vittoria fascista e il suo consolidamento, il rapido sfaldamento dell'opposizione democratica e, non da ultimo, la "convinzione che... il nostro impegno antifascista poteva essere seriamente, ossia efficacemente, mantenuto solo militando in un partito che aveva dimostrato coi fatti di sapere e di voler combattere "le componenti essenziali della loro conversione". La militanza attiva, volta ad organizzare una rete di cellule nelle fabbriche del Napoletano, si conclude con l'arresto di Rossi-Doria e Sereni, il processo di fronte al Tribunale Speciale e la condanna di entrambi a quindici anni di carcere.
L'ultimo pannello delle memorie viene dedicato, con pagine di fascino straordinario, agli anni della galera fascista. È in questa durissima prova che si dispiega la sua stupefacente forza d'animo e di carattere: la pesantezza della condanna e l'iniziale periodo di segregazione vengono affrontati con orgoglio e determinazione, imponendo a sé stesso una rigida disciplina, "stabilendo un pari rapporto durante la giornata tra studio ed esercizio fisico" e conferendo al primo "un carattere sistematico tale da farlo sentire come lavoro e non come passatempo".
Accanto all'attività di studio (il suo "dottorato", come soleva chiamarlo), Rossi-Doria trova anche modo di compiere le prime esperienze didattiche nei cicli di lezioni sulla questione agraria in Italia ai compagni di carcere. Oltre alla certezza interiore che, chiusa questa parentesi, egli sarebbe tornato, prima o poi, alla sua agricoltura e al suo Mezzogiorno, ciò che rese sopportabile la dura realtà carceraria fu la comunanza di vita con gli altri compagni di lotta e, soprattutto, l'intesa fraterna con alcuni di essi. Spicca, fra tutte, la figura di Ernesto Rossi: il rapporto di stima e di affetto che con lui si instaura "pur nell'aperto... dissenso politico e ideologico", inciderà non poco sulla successiva evoluzione della posizione politica di Rossi-Doria.
Anche se il racconto si arresta al 1934, Anne Lengyel, la moglie, operando un intelligente montaggio della corrispondenza, delle testimonianze di amici e, ovviamente, dei suoi stessi ricordi, offre al lettore un resoconto puntuale degli eventi dopo l'uscita dal carcere. In un'atmosfera fortemente affine a quella delle memorie, anch'essa illuminata dalla serenità del ricordo, vengono rievocati gli anni del confino, la breve, intensa stagione del Partito d'Azione, e, a partire dall'immediato dopoguerra, le innumerevoli tappe dell'impegno politico e professionale di Rossi-Doria nella battaglia per il riscatto del Mezzogiorno, condotta senza tregua su una molteplicità di fronti (la riforma agraria, l'insegnamento universitario, la Cassa per il Mezzogiorno, l'impegno parlamentare). Gli ultimi anni furono da lui trascorsi nella piena consapevolezza del tramonto di un'epoca: l'antica miseria contadina era certo scomparsa dalle campagne del Mezzogiorno ma con essa sembravano anche essersi dileguati nel cuore e nella mente degli uomini i rovelli e le aspirazioni del pensiero meridionalista.

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