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Un paio di righe nei manuali di storia del liceo: ecco quanto in genere viene riservato ai fatti di Torino del 21 e 22 settembre 1864. E i torinesi per di più non ci fanno una bella figura, perché appaiono come dei municipalisti, gelosi solo di mantenere il loro status di abitanti della capitale. Ben venga allora questo piccolo libro che, a 150 anni dagli eventi, li riporta nitidamente in luce e mette in evidenza quanto le modeste e civilissime manifestazioni dei torinesi avessero una loro ragion d'essere nel desiderio che venisse mantenuta la promessa di cedere lo scettro di capitale solo a Roma e alla luce del sole, non in forza di accordi segreti e umilianti con la Francia per trasferire la capitale in un'altra città. Purtroppo il governo, timoroso della piazza, e reso debole dal senso di colpa per l'atto di dubbia legalità compiuto, perde la testa e permette che nelle sere del 21 e del 22 giovani carabinieri, più o meno apertamente manovrati dalla Questura, compiano un doppio eccidio in piazza Castello e in piazza S.Carlo, causando più di 50 morti civili e inermi. E purtroppo il governo dell'emiliano Minghetti e del toscano Peruzzi, dopo aver impedito alla Guardia Nazionale di controllare pacificamente la piazza, si distingue anche per una sistematica propalazione di notizie false per mettere in cattiva luce i torinesi. Una brutta pagina di storia, insomma, che può finalmente essere conosciuta come merita grazie ad Ambrosini, dopo tanto lungo silenzio e che dimostra quanto difficile sia stata la via dell'Unificazione nazionale anche per i torinesi, che avrebbero dovuto reinventare il destino della loro città, dopo un simile tributo di sangue.
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