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I giorni chiari - Zsuzsa Bánk - copertina
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I giorni chiari

Descrizione


Ai margini di un villaggio nel sud della Germania degli anni Sessanta, là dove cominciano i campi, c'è una casetta di assi sghembe circondata da un giardino di alberi da frutta. La casa è talmente povera che le porte non hanno serratura e al cancello non c'è nemmeno una cassetta per le lettere. Là abitano Aja e sua madre Évi. Un vecchio cappello giallo in testa sottratto all'armadio della mamma, le mani piccole e i piedi minuti, Aja trascorre gran parte del suo tempo nel giardino. Ritta sulle sue lunghe gambe smilze, che sembrano tagliate nel legno, le unghie smaltate fin sopra la pelle, Évi sorveglia la sua bambina mentre con la mano sfiora le lettere di Zigi, suo marito, spedite da qualche remoto angolo del mondo, dove ogni sera si esibisce come trapezista. Le rare volte in cui Zigi compare al cancello di casa, è una festa. I capelli sulla faccia, i ricci arruffati che se ne vanno in tutte le direzioni, un paio di scarpe scure con il cuoio crepato sui lati che, con le stringhe slacciate, misteriosamente non scappano via, Zigi salta indietro sulle mani e torna sui piedi come se volasse per il giardino di Évi. Allora Aja lo guarda orgogliosa e Seri e Karl, i suoi piccoli amici, sgranano gli occhi per lo stupore. Ma poi ad Aja non restano che giorni, settimane e mesi in cui di Zigi vi è solo un fascio di disegni tra le tazze del mattino o tra le calze e le camicie riposte nei cassetti. Anche Seri e Karl, tuttavia, devono fare i conti con mancanze dolorose. Seri era nata da poco...
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Dettagli

2012
19 aprile 2012
457 p., Brossura
9788854505681

Valutazioni e recensioni

3,63/5
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Mariangela
Recensioni: 3/5

Le narrazioni più intriganti di questo secolo nascono dalla scritture di contaminazione. E questo romanzo ne è un ottimo esempio. In una Germania che è anche un po' Russia, un po'Ungheria, sotto il sole caldo della Francia e dell'Italia o attraverso l'Oceano che porta in America, si snoda questa saga che ruota attorno a tre bambini e allo loro splendide madri. C'è il mondo fatato dell'infanzia, il sapore della magia, la meravigliosa trasformazione che gli occhi e il cuore di un bambino operano delle cose più semplici, dai fili d'erba ai laghi ghiacciati. Mi ha ricordato la prima meravigliosa parte de 'L'Albero della Vita' di Terence Mallick. Stupore assoluto. Forse in certe pagine la prosa indugia troppo su dettagli (ripetendoli) ma c'è stile. E contenuto. Da leggere.

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fede74
Recensioni: 3/5

una storia tra fiaba e realtà, successi e delusioni, scritto benissimo.

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Isa
Recensioni: 3/5

Sono finalmente arrivata alla fine del libro: 457 pagine e neanche un dialogo! Confesso che alla fine...non vedevo l'ora di arrivare alla fine! Lettura un po' impegnativa! I

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Recensioni

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Voce della critica

  In Germania la critica è ormai unanime nell'assegnare alla cosiddetta Migrantenliteratur il merito di aver innovato temi e forme dell'attuale produzione letteraria. Studi e convegni indagano la scrittura di autori immigrati in paesi di lingua tedesca mettendone in risalto le nuove strategie narrative, ovvero la diversa "codificazione dei sentimenti", per citare una formula di Simone Winko. Questo aspetto sembra particolarmente evidente nelle scrittrici provenienti dall'Ungheria, come Cristina Viragh (n. 1953; cfr. "L'Indice", 2009, n. 4), Léda Forgó (n. 1973) e Zsuzsa Bánk (n. 1965). Tutte narrano nella lingua d'adozione l'esperienza dell'immigrazione, ma, se nelle prime due prevale un senso d'isolamento e di nostalgia per un mondo perduto, nella recente prosa di Bánk, autrice di un celebrato romanzo d'esordio (Der Schwimmer, 2002), il lettore respira la fiaba di una felice integrazione interculturale. E proprio qui sta la novità: i "giorni chiari" sono quelli di un'infanzia in cui nasce l'amicizia profonda tra Aja, figlia di spiantati acrobati ungheresi, e Seri, pargoletta di benestante famiglia borghese. Cui si aggiungerà Karl, il bambino mutilato nell'anima dalla misteriosa sparizione del fratello. Ma non si tratta solo di un'osmosi sociale germogliata nell'innocenza dei primi anni di vita: il senso forte di un legame incorruttibile coinvolge in questo corposo romanzo anche gli adulti, incrociandone a più riprese i destini tra il dopoguerra e il 1989. Bánk sceglie bene gli ingredienti. La storia la colloca a Kirschblut ("fiore di pesco"), un villaggio del Baden non lontano dal Neckar, fiume di hölderliniana risonanza poetica. Qui approda con la bimba al collo una coppia di nomadi, stanchi di un'esistenza randagia, per costruirsi un riparo sul limitare dei campi. Zigi, il funambolo con sul corpo il tatuaggio di un amore remoto, vive la vita come proroga continua, con l'assenza e l'allegria della gente di circo, mentre ancorata alla sua tana appare invece Évi, selvatica icona di profondi, vigili affetti. Quel povero riparo di assi sghembe diventa per Seri, voce narrante del testo, la grande attrazione: è lì che i bambini giocano scalzi, si nascondono nel grano, nuotano nel lago del bosco ascoltando l'immobilità incantata della terra, la brezza nell'aria, il mormorio del ruscello. E, soprattutto, Seri e Karl sono affascinati da Évi, madre arruffata e sparuta ma salda nella sua chagalliana religiosità di petali e santi colorati: figura inedita e originalissima, vera sorgente etica del romanzo. Perché grazie a lei, votata a una schiva semplicità, quella casa dal cancello sgangherato si trasforma con il tempo in oggetto larico anche per gli adulti del villaggio. Bánk preme vistosamente sul pedale fiabesco, a cominciare dal legame tra Évi e la madre di Seri, tutta bracciali, braccialetti e guanti in tinta, che si rivela una fatina caritatevole, pronta a sorreggere la straniera, prima insegnandole a leggere e poi tutelandola negli anni fin oltre la soglia della demenza. E non è la sola, così altre madri, così altri abitanti di Kirschblut, tutti buoni, ovvero personaggi dapprima ammutoliti da un lutto o da un fallimento che la silenziosa, istintiva natura di Évi recupera alla vita, sollecitandoli con la sua umile esistenza alla pace del dono e della comunicazione. I giorni chiari assume a tratti i colori sociali dell'idillio stifteriano. Viene da chiedersi: potrebbe nascere oggi un romanzo come questo da penna indigena? Certo che no. Troppo lacerata dalla storia recente è ancora la coscienza tedesca per poter mettere in scena una simile concertata armonia. Forse anche troppo sfiziosa, quella penna, per ricorrere a personaggi del circo – che pure danno luogo alle pagine più avvincenti del libro – perché si tratta di figure obsolete, per così dire di coda rispetto alla grande letteratura e al linguaggio pittorico del Novecento. Ma Bánk non teme l'azzardo. Lei segue il principio stilistico di una narrazione lenta e riflessiva, esuberante di dettagli, spesso reiterati nell'avvolgente flusso dei ricordi. Una struttura densa di temi altalenanti – la seconda parte si svolge a Roma, con il motivo percussivo, a volte ridondante, del ritorno a casa − e talora, diciamolo, a un passo dalla leziosaggine. Tuttavia si sente all'opera un'energia creativa che non bada alle scarne mode correnti, che fa anzi un salto nella fiaba intatta del mondo di ieri. Con una prosa che conserva, nell'ottima traduzione di Riccardo Cravero, l'antico odore della terra e la luce dei campi innevati, proponendo l'utopia della solidarietà tra autoctoni e alieni, nel segno di un intreccio di radici ignare di qualsiasi diversità. Anna Chiarloni

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Conosci l'autore

Zsuzsa Bánk

1965, Francoforte

Zsuzsa Bánk, nata nel 1965, dopo aver lavorato come libraia ha intrapreso gli studi di giornalismo, scienze politiche e lettere nelle Università di Mainz e di Washington. Vive a Francoforte con il marito e due figli. Il suo primo romanzo, Der Schwimmer, tradotto in italia con il titolo Il nuotatore (Neri Pozza, 2014), ha ricevuto grande consenso di critica e pubblico e numerosi premi, tra cui il Deutscher Buchpreis. Sempre con Neri Pozza nel 2012 è uscito I giorni chiari pubblicato successivamente in BEAT nel 2014.

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