In Germania la critica è ormai unanime nell'assegnare alla cosiddetta Migrantenliteratur il merito di aver innovato temi e forme dell'attuale produzione letteraria. Studi e convegni indagano la scrittura di autori immigrati in paesi di lingua tedesca mettendone in risalto le nuove strategie narrative, ovvero la diversa "codificazione dei sentimenti", per citare una formula di Simone Winko. Questo aspetto sembra particolarmente evidente nelle scrittrici provenienti dall'Ungheria, come Cristina Viragh (n. 1953; cfr. "L'Indice", 2009, n. 4), Léda Forgó (n. 1973) e Zsuzsa Bánk (n. 1965). Tutte narrano nella lingua d'adozione l'esperienza dell'immigrazione, ma, se nelle prime due prevale un senso d'isolamento e di nostalgia per un mondo perduto, nella recente prosa di Bánk, autrice di un celebrato romanzo d'esordio (Der Schwimmer, 2002), il lettore respira la fiaba di una felice integrazione interculturale. E proprio qui sta la novità: i "giorni chiari" sono quelli di un'infanzia in cui nasce l'amicizia profonda tra Aja, figlia di spiantati acrobati ungheresi, e Seri, pargoletta di benestante famiglia borghese. Cui si aggiungerà Karl, il bambino mutilato nell'anima dalla misteriosa sparizione del fratello. Ma non si tratta solo di un'osmosi sociale germogliata nell'innocenza dei primi anni di vita: il senso forte di un legame incorruttibile coinvolge in questo corposo romanzo anche gli adulti, incrociandone a più riprese i destini tra il dopoguerra e il 1989. Bánk sceglie bene gli ingredienti. La storia la colloca a Kirschblut ("fiore di pesco"), un villaggio del Baden non lontano dal Neckar, fiume di hölderliniana risonanza poetica. Qui approda con la bimba al collo una coppia di nomadi, stanchi di un'esistenza randagia, per costruirsi un riparo sul limitare dei campi. Zigi, il funambolo con sul corpo il tatuaggio di un amore remoto, vive la vita come proroga continua, con l'assenza e l'allegria della gente di circo, mentre ancorata alla sua tana appare invece Évi, selvatica icona di profondi, vigili affetti. Quel povero riparo di assi sghembe diventa per Seri, voce narrante del testo, la grande attrazione: è lì che i bambini giocano scalzi, si nascondono nel grano, nuotano nel lago del bosco ascoltando l'immobilità incantata della terra, la brezza nell'aria, il mormorio del ruscello. E, soprattutto, Seri e Karl sono affascinati da Évi, madre arruffata e sparuta ma salda nella sua chagalliana religiosità di petali e santi colorati: figura inedita e originalissima, vera sorgente etica del romanzo. Perché grazie a lei, votata a una schiva semplicità, quella casa dal cancello sgangherato si trasforma con il tempo in oggetto larico anche per gli adulti del villaggio. Bánk preme vistosamente sul pedale fiabesco, a cominciare dal legame tra Évi e la madre di Seri, tutta bracciali, braccialetti e guanti in tinta, che si rivela una fatina caritatevole, pronta a sorreggere la straniera, prima insegnandole a leggere e poi tutelandola negli anni fin oltre la soglia della demenza. E non è la sola, così altre madri, così altri abitanti di Kirschblut, tutti buoni, ovvero personaggi dapprima ammutoliti da un lutto o da un fallimento che la silenziosa, istintiva natura di Évi recupera alla vita, sollecitandoli con la sua umile esistenza alla pace del dono e della comunicazione. I giorni chiari assume a tratti i colori sociali dell'idillio stifteriano. Viene da chiedersi: potrebbe nascere oggi un romanzo come questo da penna indigena? Certo che no. Troppo lacerata dalla storia recente è ancora la coscienza tedesca per poter mettere in scena una simile concertata armonia. Forse anche troppo sfiziosa, quella penna, per ricorrere a personaggi del circo che pure danno luogo alle pagine più avvincenti del libro perché si tratta di figure obsolete, per così dire di coda rispetto alla grande letteratura e al linguaggio pittorico del Novecento. Ma Bánk non teme l'azzardo. Lei segue il principio stilistico di una narrazione lenta e riflessiva, esuberante di dettagli, spesso reiterati nell'avvolgente flusso dei ricordi. Una struttura densa di temi altalenanti la seconda parte si svolge a Roma, con il motivo percussivo, a volte ridondante, del ritorno a casa − e talora, diciamolo, a un passo dalla leziosaggine. Tuttavia si sente all'opera un'energia creativa che non bada alle scarne mode correnti, che fa anzi un salto nella fiaba intatta del mondo di ieri. Con una prosa che conserva, nell'ottima traduzione di Riccardo Cravero, l'antico odore della terra e la luce dei campi innevati, proponendo l'utopia della solidarietà tra autoctoni e alieni, nel segno di un intreccio di radici ignare di qualsiasi diversità. Anna Chiarloni
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