Quest’antologia vuol fissare un’immagine del Carducci diversa dalla paludata icona, lontana dal mondo e dalla storia, di un poeta monumentale, celebrativo, ampolloso. L’architettura ibrida della raccolta è dovuta all'energia culturale di Edoardo Ripari, autore dei commenti ai testi, e si giustifica con lo scopo di di svelare un poeta in cui la latitudine dei registri tematici ed espressivi, l’inclinazione sperimentale, la dottrina storica e letteraria, l’impegno politico e sociale convivevano senza gerarchie, nel segno vivo di una composita personalità. Se tre tavoli bastavano a Pascoli per governare, non senza vertigini e sofferenze, i territori della propria produzione letteraria, Carducci si aprì invece alla vita, alla natura, alle battaglie quotidiane compiute per il bene e per il progresso dell’umanità. Si capisce dunque la risonanza che egli ebbe sin da Levia Gravia, nel 1868. Chi d’Europa s’era nutrito, rifacendosi alle voci più alte dell’Occidente (da Omero a Victor Hugo) seppe infondere alla struttura colta, ardua, dall'alto senso memoriale ed erudito, delle proprie pagine in prosa e in verso una forza attrattiva ignota ad altri autori italiani. Dalle Rime di San Miniato sino a Rime e ritmi, Carducci espresse una visione dei fatti, degli uomini e delle loro delle idee, restituiti sempre al loro retaggio, in quelle che Dante chiamava “le vie della terra”. Bulgari, croati, serbi, polacchi, non solo tedeschi, inglesi, francesi e spagnoli vollero esprimere nella loro lingua la poesia di Carducci, che era approdato a quella “patria comune” cui né Foscolo né Manzoni, né Leopardi né Pascoli seppero giungere. In quest’antologia di Ripari (il sottoscritto aleggia nei cappelli introduttivi e nella biografia iniziale), coerentemente con la natura italiana e globale della “Dante”, si trovano anche alcune traduzioni. Il Nobel di Carducci, tra l’altro, non si spiega con i retroscena dell’Accademia di Svezia, ma con la storia della fortuna europea del poeta. Componimenti giovanili di inattaccabile perfezione (Candidi soli e riso di tramonti, Passa la nave mia) introducono, sul piano degli affetti (Pianto antico, Sogno d’estate) all'apertura possente di questi ultimi alle vicende italiane (Dopo Aspromonte e poi Meminisse horret), nel segno di quella “bandiera garibaldina” (Per le nozze di mia figlia) esibita e testimoniata dalla poesia carducciana non meno che dall'Eroe dei due mondi, negli ideali politici (A Satana) come pure nella dedizione a un orizzonte spirituale (Giuseppe Mazzini) che aveva segnato i primi decenni dell’unità d’Italia. Il passato remoto, arcaico, dagli Etruschi all'antica Roma, sino a quello prossimo dei fatti di Francia (Alle fonti del Clitumno, Nella Piazza di San Petronio, Ça ira, La leggenda di Teodorico), avvertito dal poeta come struttura della percezione, non consolatoria ma battagliera, s’invera nella creazione d’un paesaggio storico-politico che dona alla geografia dell’Italia nuova una topografia di memorie condivise, che rappresentano il fondo comune, la sottesa sintassi unitaria dell’Italia dell’ultimo Ottocento. Su piani diversi, Presso l’urna di P. B. Shelley e La chiesa di Polenta testimoniano l’inclinazione di Carducci a risalire alle fonti, alle sorgenti della poesia, della vita e della storia, per definire l’orizzonte ontologico-letterario della propria opera. Con una breve campionatura di lettere, dalla prima giovinezza (4 dicembre 1856) alle soglie del Nobel (23 dicembre 1905), che sarebbe giunto un anno più tardi, questa raccolta ci restituisce la coerenza di un intellettuale libero, di un “conservatore sovversivo” (com'egli amava definirsi) che, nel concetto di cultura quale fondamento dell’azione morale e civile e di civiltà come fondamento della poesia, può ancora parlare ai giovani di tanti paesi proprio attraverso la “rete” della Società Dante Alighieri, fondata – non sarà un caso - dallo stesso Giosue Carducci. Prof. Marco Veglia
Leggi di più
Leggi di meno