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Descrizione


Attraverso una attenta ricostruzione della vita e della filosofia di Giovanni Amendola, Alfredo Capone fornisce la chiave per indagarne il pensiero politico, che assume la democrazia liberale moderna fondata sul superamento del principio individualistico del liberalismo classico e su una concezione della religione come cristianesimo filosofico e aconfessionale. La democrazia politica di Amendola trova le sue origini nel radicalismo risorgimentale, nel cui solco egli colloca il riformismo del Partito socialista al quale aderì adolescente. Attraverso l'analisi del suo pensiero e delle sue vicende politico-biografiche, come l'esperienza della guerra - che mise a nudo le sue illusioni interventiste e il suo sogno di una "Grande politica nazionale" l'autore mette in luce la svolta in senso radicale della sua concezione della democrazia, che si fonda sulla presa d'atto della catastrofe irreversibile della classe dirigente italiana nel suo insieme. Giovanni Amendola segna la linea di non ritorno dell'Italia liberale e laica del Risorgimento e l'inizio dell'Italia dei partiti di massa. Deve la sua "sfortuna" storiografica, secondo l'autore, alla struttura del sistema politico italiano, i cui conflitti trovano sempre una ricomposizione sulla frontiera del populismo, del consociativismo e dunque nel rifiuto della democrazia liberale europea di cui il nostro fu il massimo esponente nell'Italia contemporanea e per molti aspetti, il fondatore. Presentazione di Giorgio Napolitano.
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Dettagli

2013
23 ottobre 2013
440 p., Brossura
9788884028822

Voce della critica

Può essere fortuito l'incontro con un personaggio lontano nel tempo e anche parecchio defilato quale è, rispetto a noi, Giovanni Amendola, ma l'occasione offerta dalla lettura di questa benemerita fatica di Capone accende un interesse specifico e profondo. Perché il libro non prende in considerazione solo l'opera propriamente politica del regista e protagonista dell'Aventino (il drammatico episodio del ritiro dai lavori parlamentari dell'opposizione democratica) ma ripercorre l'intera biografia di un inquieto pensatore, in cerca di risposte, anche religiose, ai problemi sollevati dall'attualità. Si risveglia così nuovamente l'attenzione, sentita poi dai radicali, per la religione della libertà di Benedetto Croce. Il complesso itinerario amendoliano, infatti, "appare fondato sull'integrazione di due princìpi ispiratori, quello di libertà e quello di liberazione. Il primo principio trova il suo riferimento nell'ordinamento giuridico dello stato di diritto (...); il secondo principio, che stabilisce col primo un rapporto di coappartenenza, è la funzione liberatrice della libertà". "La filosofia - ammoniva Amendola - che scopre e afferma la libertà del mondo e l'attività nella conoscenza, ha perciò appunto (...) una funzione essenzialmente liberatrice (...) ed è liberazione essa stessa". Nel grande dibattito etico-politico che in quegli anni elaborava, in Croce e anche in Gentile, una cultura liberale di radici italiane, Amendola giungeva all'innovativo approdo del Partito democratico italiano, passando per esperienze segnate da una forte carica religiosa e da una tensione etica che lo portò all'allontanamento critico dalla stessa filosofia crociana. Il giudizio storico-politico su Amendola ha colto quasi esclusivamente l'episodio dell'Aventino, poco o nulla del travaglio culturale che pure fu in Amendola essenziale, sicuramente anche nel determinare quell'episodio nel quale si è voluto cogliere il segno di un'inaccettabile rinuncia alla lotta, come riflesso di un rigore etico inadeguato e inaccettabile sul terreno della politica. Non piacque infatti nel secondo dopoguerra, quando si affermarono i partiti di massa che non potevano non "confinare in un'area di illegittimità elitaria i partiti 'laici', procedendo a una rilettura antiliberale dell'Italia contemporanea", rilettura di cui Amendola, capo dell'Aventino, rappresentava l'asse. Oggi, è necessario rileggere l'Aventino in termini decisamente più positivi, come fa, con eccellenti argomenti e con una ricca documentazione, Capone. Vi sono momenti in cui Parigi val bene una messa, ma anche momenti in cui nessuna Parigi può valere il rifiuto della compromissione. Il Croce, che pure ha posto la politica sotto l'insegna dell'utile, avrebbe pronunciato in senato, pochi anni dopo l'Aventino, un memorabile discorso contro il Concordato voluto da Mussolini, e ancora viene portato ad esempio di virtù civile il rifiuto di prendere la tessera del partito fascista opposto da tredici noti docenti universitari. Nell'affascinante percorso umano e politico di quest'uomo, a Capone preme far rilevare come Amendola traducesse "in termini storici e politici la sua etica della decisione". Il 30 novembre 1924, in un discorso a Milano affermava: "Non vi è transazione possibile fra i princìpi che lottano oggi per il dominio spirituale e politico della nostra storia. Non vi è transazione possibile (...) E il principio della libertà e il principio della forza non potrebbero coesistere e spartirsi la vita italiana in virtù di un saggio compromesso che non esiste". Il giorno dopo Mussolini gli rispondeva deridendo il tentativo di sollevare contro di lui il "feticcio della libertà". Il 26 dicembre Amendola veniva aggredito e ferito da sgherri fascisti. Purtroppo, l'Aventino apparve ai contemporanei, annota Capone, "la conseguenza inevitabile di una deviazione dalle vecchie regole compromissorie": Giolitti fece della pesante ironia sulla cocciutaggine del capo dell'Aventino, Croce gli scrisse sostenendo che "fare atto di sottomissione all'avviso di uomini di stato venerandi per età e per lunga pratica, come il Giolitti, non può disonorare nessuno". Secondo Capone cominciava così "quella lunga rincorsa delle frange della sinistra liberale verso posizioni tanto ideologicamente oltranziste quanto politicamente velleitarie, che doveva poi favorire la loro marginalizzazione a vantaggio della strategia togliattiana". Il 10 giugno del 1924, veniva aggredito e ucciso a Roma Giacomo Matteotti. Giovanni Amendola sarebbe morto a Cannes, il 7 aprile del 1926, per le conseguenze di un'ennesima aggressione di fanatici squadristi fascisti.   Angiolo Bandinelli  

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