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Un volume comprensibilissimo su G. che non fu il filosofo del manganello: chi lo uccise (i comunisti come “corporativisti impazienti”) aveva l’obiettivo di inaugurare una nuova stagione culturale e politica. Gramsci lo definiva un papa laico,si temeva da anti (anche padre Gemelli) il suo idealismo. Allievi, seguaci e critiche. Le suggestioni in Bruno, Campanella,Vico, Spaventa, Rosmini, Gioberti, Marx, Croce (che si richiama a De Sanctis), ma non solo.Tutto è filosofia che può cambiare il mondo: attività creatrice del pensiero,atto puro dell’universalità del concetto e del pensiero concreto: se una idea è veramente valida non potrà non imporsi.L’individuo è soggetto della prassi che fa la società la quale reagisce sull’individuo facendolo sociale.La realtà è praxis e l’individuo fuori della società è un astratto. G. considera la pace sociale necessaria e fonda lo stato non inter homines ma nella teoria dello in interiore homine dove entra anche la religione.Concetto di egemonia in Gramsci come il concetto di totalitarismo in G.? Nel 1931 scrive«si dice che il fascismo è totalitario: Questo vuol dire che non è laico,ma religioso.E’ una nuova educazione spirituale di tutto l’uomo».Nello stato etico di G. si dissolve l’opposizione autorità-libertà poiché «la legge è voluta e il diritto s’interiorizza nella coscienza del buon cittadino, sollecito più dell’interesse comune che del proprio». Il suo motto «bisogna guardarsi bene dallo scambiare il fascismo dell’anima col distintivo all’occhiello».Il liberalismo e la politica sono intesi da G. come valori non strumenti: il problema era di creare una classe dirigente capace di nazionalizzare l’Italia/nità la cui inferiorità ha origine nell’individualismo del Rinascimento, non considerando però puramente negativo l’umanesimo. Iniziale introduzione a Gentile uomo e pensatore
Un insulto alla ricerca storica, una sequela di affermazioni basate su opinioni e raramente supportate da documenti, una continua generalizzazione; e inoltre, uno scrivere confuso che mescola senza logica la sequenza degli eventi. Positivo è che dopo questa pessima lettura non si potrà evitare uno studio accurato della figura di Gentile, per umana sete di entrare nella complessità della storia, che non si può ridurre a miseri confronti per decidere con facilità quali siano i buoni e quali i cattivi.
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Il sessantenario dell'uccisione di Giovanni Gentile, avvenuta, com'è noto, il 15 aprile del 1944 per mano del gappista Bruno Fanciullacci, è stata commemorata da un duplice convegno a Firenze (organizzato, l'uno, dal Centro culturale Firenze-Europa "Mario Conti", l'altro da Alleanza nazionale all'Hotel Londra) e dalla concomitante pubblicazione del contributo di Daniela Coli. Non avendo l'ambizione di fornire un profilo biografico sistematico, il volume si presenta sotto la veste del pamphlet e tenta di delineare a ritroso, e per momenti salienti, la vita e l'opera del pensatore siciliano.
Fin dalle pagine introduttive si ha però l'impressione che qualsiasi intento di ricostruzione storiografica venga tradito dalla pregiudiziale ideologica che non si accontenta di inserire il nome di Gentile nel martirologio fascista, ma sottopone a severo vaglio critico il comportamento della cultura antifascista.
Trascurando i travagli di molti intellettuali e politici (il fallimento dell'Aventino viene sbrigativamente liquidato come incapacità "dell'eterogeneo schieramento antifascista di scegliersi un capo e di stare in Parlamento"), l'autrice - che usa i termini di idealismo e attualismo quasi fossero sinonimi - sostiene che la cultura italiana del secondo dopoguerra, specie comunista e liberalsocialista, non avrebbe saputo confrontarsi serenamente con Gentile. Per giustificare il debito che Gramsci aveva contratto con l'idealismo, si sarebbe pertanto giunti a spezzare il nesso con il fascismo; "l'antiamericano e filosovietico" Luigi Russo avrebbe riveduto e corretto il proprio giudizio, insieme a larga parte della sinistra che, sulla base dell'avversione di Gentile per la politica concordataria del regime, si sarebbe richiamata al filosofo per combattere la nuova egemonia democristiana, dopo il 1948. "Revisionismo", dunque, anche a sinistra (non ne sarebbe immune neppure il Croce della Storia d'Italia) - sembra affermare Coli - dato che, dopo lo sbarco angloamericano, numerosi antifascisti si sarebbero affrettati a cancellare le tracce del proprio passato gentiliano o a rinnegare aiuti e collaborazioni.
Questa prospettiva pare viziata da una forte tendenza alla semplificazione. L'itinerario di Russo, più volte richiamato in questa sede, non può essere assunto a canone di valutazione per un'intera generazione, giacché non tutti attesero il 1943 per fare i conti con l'attualismo, ma iniziarono, come nel caso di Gobetti, vent'anni prima; inoltre, dal punto di vista strettamente scientifico, le proficue ricerche di Garin, Sasso e Turi, così come la pubblicazione delle Opere complete a partire dagli anni ottanta, sono l'evidente testimonianza del superamento di molti pregiudizi.
Sorprende viceversa rinvenire nell'impianto generale la stessa volontà di smussare i confini tra fascismo e antifascismo che era già emersa nelle commemorazioni del 1994. Ritornano le considerazioni sulla tolleranza e disponibilità di Gentile al dialogo, purché non si dissentisse politicamente con lui (l'autrice stessa cita, un po' contraddicendosi, la chiusura del Congresso filosofico di Milano del 1926 in seguito alla relazione polemica di De Sarlo), e si individua nella vocazione liberal-nazionale e conservatrice, sorta nel solco della tradizione spaventiana della Destra storica - ragione per cui Gentile verrebbe posto fra gli emblemi dell'"identità italiana" inseguita dalla collana bolognese - il germe della futura adesione al fascismo. Un fascismo peraltro tutto personale, che contemplava forme di libertà - dello stato, occorre precisarlo, non già dell'individuo - della cui ampiezza i battibecchi pubblici con Croce e la "Critica" darebbero paradossalmente la misura.
A prescindere dalle numerose sviste e inesattezze (su Capitini, citato come vicedirettore della Normale, anche negli anni in cui era segretario economo, p. 70; sulle considerazioni di Russo, riferite erroneamente a Gentile invece che ad Arangio Ruiz, p. 15; sull'attribuzione a Gentile di una Storia della filosofia italiana, iniziata ma interrotta nel 1915, p. 108), che rivelano l'esecuzione un po' frettolosa del lavoro, non possono non sconcertare talune affermazioni sulla rivincita della "destra" e sulla sua volontà di creare una "comunità d'individui liberamente associati, senza alcuna distinzione di classe o di rango, fedeli a un capo e con una missione nel mondo". Individuare in Gentile l'esponente di questo mondo di valori, e appiattire il suo pensiero sulle sue scelte politiche, non favorisce quella valutazione oggettiva e pacata, invocata proprio in apertura di volume.
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