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Una quarantina di ottime pagine che fanno ben comprendere la vicenda di questo scrittore che si sentiva emarginato anche per il disprezzo dell’ambiente intellettuale mondano dell’epoca, ma che “è passato vicino ai punti chiave (..) per una esperienza sua personale ed autentica, non perché si sia affiliato a delle scuole, a delle tendenze, a delle mode”. Berto si sentiva “respinto dall’intellighenzia romana, donde l’avversione e l’antipatia a Moravia, visto un po’ come vessillo portabandiera di questo ambiente”.Sono forse 4 i momenti importanti della sua narrativa:1)“Le opere di Dio” e “Il cielo è rosso”: disperazione e inconsapevole approccio neorealistico;2)“Il brigante” (tema di giustizia sociale e Sud): speranza ed esodo dal neorealismo di riflesso;3)silenzio fino al ’64 poi “Il male oscuro”: periodo della rassegnazione e consapevole, autoironica, discesa al profondo con la terapia psicoanalitica, senza rispettare la tradizionale sintassi scolastica, in periodi che obbediscono al flusso della coscienza, ma senza mai spazi vuoti,in una concatenazione interna che avvince;4)“la gloria” nel ’78 (poco prima della sua morte) riprendendo la tematica religiosa in una angolazione diversa, più disperata. Berto si identifica con Giuda, “uomo che è sempre alla ricerca di Cristo, ma che teme di essere stato abbandonato, che grida e chiede aiuto, ma non sempre crede di poterlo ottenere” una preghiera: “non ci si rivolge a chi pensiamo non ci possa ascoltare. C’è pur sempre una contraddizione di termini, che costituisce il groppo insolubile dell’afflato religioso di Berto: egli s i sente disperato, ma non riesce a rinunciare a un grido, pur sempre sordo, verso una realtà soprannaturale” nel dialogo “diventato più alto, non più orizzontale, di sé con se stesso, della propria ragione con il proprio inconscio, ma di sé come individuo, con valori trascendenti: è un rapporto verticale e non più orizzontale”.
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