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Giustizia e Libertà in Italia. Profilo di una cospirazione antifascista 1929-1937 - Mario Giovana - copertina
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Giustizia e Libertà in Italia. Profilo di una cospirazione antifascista 1929-1937
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Descrizione


Vengono qui ricostruiti e analizzati i vari aspetti di Giustizia e Libertà negli anni della cospirazione antifascista: linea politica, approccio culturale, metodi cospirativi, discussioni e lacerazioni interne, arresti e processi, personalità e ruolo dei principali esponenti, controllo poliziesco tramite spie, rapporti con il centro estero di Carlo Rosselli. L'autore, dal 1945 amico e collaboratore di alcuni esponenti del movimento, integra con elementi ricavati dalla conoscenza personale la documentazione tratta da archivi pubblici e privati, opuscoli e giornali di GL, memorialistica e storiografia dell'antifascismo. Ne risulta un testo denso e scorrevole, un lavoro di riferimento su GL e sull'antifascismo non comunista.
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Dettagli

2005
533 p., Brossura
9788833916170

Voce della critica

Ma c'è ancora qualcosa nella vicenda di Giustizia e Libertà che non sia già stato esaminato dall'imponente bibliografia sull'argomento dalle decine di libri di memorie dallo scavo dettagliato e minuto sollecitato negli anni da numerose riviste di storia? è questa credo l'istintiva domanda che ci si pone di fronte al corposo volume di Giovana cinquecento e più pagine suddivise in venti capitoli con titoli che evocano volti e fatti conosciuti e rimandano a una storia ormai quasi familiare. Eppure non occorre andare molto oltre nella lettura per ricredersi. La chiave di questo primo risultato è nella novità dello sguardo e nella delimitazione dell'oggetto. Quello che si racconta qui è la storia dei gruppi di Gl in Italia di quella galassia quasi inafferrabile di presenze sparse nell'intera penisola che lavorano in clandestinità riferendosi con più o meno labili legami al movimento di Carlo Rosselli. Non sono insomma le luci di Parigi a incantare l'autore né il gioco dei rapporti tra i vari partiti che perpetuano nella capitale francese antiche abitudini della politica ma i piccoli e talora debolissimi fuochi che compaiono e scompaiono nella notte italiana nella solitudine dei contatti nella rischiosa diffusione del materiale nella vigile attesa di un appiglio per l'azione nella preparazione di qualcosa che scuota la stabilità apparentemente inattaccabile del regime.

Naturalmente assumere questo punto di vista implica la disponibilità a un lavoro di ricerca assai arduo che poggiando su una completa conoscenza del già edito individui pazientemente il dettaglio poco studiato e insegua fili esilissimi con il dubbio continuo di perdersi in un'impresa impossibile. Ma l'interesse di Giovana nel colmare quella che ha individuato come una persistente lacuna della storiografia non si è arreso di fronte a queste difficoltà. Ha scavato per anni negli archivi italiani e stranieri seguendo innanzitutto e sistematicamente una traccia: quella dell'azione dell'apparato repressivo del regime (Ovra polizia politica tribunali speciali) che prima incerto e quasi impotente di fronte ai “nuovi venuti” riesce nel tempo a farsene un quadro talmente preciso da poterne implacabilmente colpire ogni pur minima espressione. Selezionando le note informative le relazioni plausibili le indagini giudiziarie le motivazioni delle sentenze e verificando la coerenza di ogni singolo tassello del mosaico all'autore è stato perciò possibile delineare un quadro che a oggi ci restituisce il più completo profilo di quella esperienza.

A questo primo e fondamentale merito il volume aggiunge altri pregi. Il più importante dei quali è una lettura che a partire dalla completezza del quadro ci restituisce una storia di Gl più matura e densa di inedite e pur essenziali sfaccettature. Importante è ad esempio la sottolineatura di Giovana sullo spirito unitario degli antifascisti che operano in Italia. Mentre a Parigi le ragioni della politica e dell'ideologia frappongono continui ostacoli alla costruzione di atteggiamenti unitari autentici in patria gli sparsi nuclei non esitano a concepire la lotta come un convergente dovere e un solidale esercizio. La distribuzione della stampa giellista avviene spesso a opera di comunisti socialisti anarchici assai poco preoccupati delle distinzioni che i rispettivi gruppi dirigenti vorrebbero marcare. E lo stesso accade in senso inverso. In coerenza con questo spirito appaiono piuttosto infastidite le reazioni degli “italiani” alle aspre diatribe parigine a proposito dell'ingresso di Gl nella Concentrazione e poi della sua uscita così come una qualche irritazione si mostra di fronte alle dispute ideologiche che dividono i Bauer i Rossi i Tarchiani i Cianca i Lussu i Basso e i Morandi ritenute sostanzialmente inessenziali rispetto allo scopo principale.

Complesso è anche lo spettro dei giudizi che riguardano la tattica da seguire. E principalmente emergono divergenti valutazioni sulla questione degli attentati e degli atti dimostrativi. Chi è in Italia vuole innanzitutto irrobustire i gruppi con un lavoro ordinario di diffusione della stampa di discussione di azione sui luoghi di lavoro; anche perché il controllo della censura impedisce comunque la conoscenza di episodi spettacolari. Chi è all'estero mira invece a sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale sulle ragioni del movimento e a dimostrare in una gara emulativa in tutti i sensi molto costosa la vitalità del proprio operato rispetto agli altri.

Il contrasto tra Nicola Chiaromonte e Carlo Rosselli su cui Giovana giustamente si sofferma nasce essenzialmente di qui ed è al riguardo esemplare. E non per caso Rosselli a un certo punto deciderà di gestire personalmente e con canali propri e riservati un'attività che culmina senza fortuna con la preparazione di un attentato al duce. Siamo ormai a metà degli anni trenta periodo tra i più difficili per Gl dal momento che la polizia anche grazie a quella che Giovana definisce la “sbalorditiva imprevidenza di Carlo Rosselli” ha infiltrato suoi fiduciari in ogni gruppo italiano e posto suoi uomini a fianco dello stesso Rosselli. Le vicende di spie come Del Re e Pitigrilli vengono riprese da Giovana con grande abilità narrativa e viste nei loro intrecci più paradossali: sorprendente resta soprattutto la vicenda di René Odin che guidato dal capo dell'Ovra Bocchini entra direttamente nell'operazione dell'attentato al duce e ne viene distolto solo perché amici di Rosselli lo avvertono che su Odin la polizia sta indagando ed è dunque pericoloso farlo entrare in Italia! Ma questo è uno dei pochi imprevisti di un'opera sistematica e implacabile di smantellamento. Sotto i colpi dell'Ovra cadono i milanesi cadono i bolognesi i friulani i romani cadono a tre riprese i torinesi. Chi riprende di volta in volta a ritessere i fili non ha scampo e l'ultimo processo a pochi mesi dall'assassinio di Rosselli (questa volta le vittime sono epigoni cremonesi) sembra davvero segnare la fine del movimento.

Denso di grandi ritratti e di precisazioni sui casi controversi (di Max Salvadori viene ricomposto un profilo positivo dopo le recenti “rivelazioni” di Canali circa una sua collaborazione con l'Ovra) il libro di Giovana non si sottrae a valutazioni di ricorrente interesse storiografico: come la questione della ricezione dei contributi programmatici che giungono dall'Italia da lui ritenuta insoddisfacente e dunque rafforzativa della tesi di un cesarismo democratico rosselliano non sempre ben accetto (si vedano gli abbandoni di Caffi Mario Levi Giua e Chiaromonte); o come la questione del rapporto iniziale tra Gl e gruppi massonici che l'autore correggendo le tesi di Mola ritiene laterale e ininfluente.

In chiusura Giovana esprime infine persuasive riflessioni sull'identità e la funzione del movimento. Lo fa in primo luogo per smentire la sensazione di un sacrificio inutile. Quando il regime cade e inizia la lotta di liberazione come per incanto – sottolinea Giovana – tutti tornano al loro posto di combattimento per partecipare con i propri ideali alla stagione della Resistenza. In secondo luogo per definire il valore morale di una scelta. Guardando agli strati intellettuali e borghesi di Gl e al loro fastidio per il clima oppressivo e per la retorica fascista è stato infatti ripreso da qualcuno l'accenno prezzoliniano alla “società degli apoti”. Ma Gl non fu questo; fu piuttosto nei gruppi interni una “Compagnia della buona morte”. E ciò nel senso che la coscienza sicura della buona causa superava la consapevolezza del rischio estremo che quella scelta implicava. C'era un dovere da compiere e bisognava farlo a qualunque costo: era “il dovere della politica”.


Sergio Soave

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