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Descrizione


Nella immensa letteratura su «quell’essere collettivo che porta il nome di Goethe», questo libro di Citati, pubblicato per la prima volta nel 1970 – e poi riveduto e ampliato sino a questa edizione –, presenta una fisionomia del tutto singolare: all’inizio ci introduce nei dettagli di questa vita, dove si scoprono a ogni passo cunicoli segreti e impreviste corrispondenze; e poi si concentra sulle due opere che per alcuni sono le vette dell’arte di Goethe e a tutti offrono prodigalmente enigmi da salvare: gli Anni di apprendistato di Wilhelm Meister e il Faust II.
Questa interpretazione di Goethe attraversa la sua vita e la sua opera con meticolosità scientifica e insieme con lo slancio di un romanzo d’avventure. Citati non trascura alcun particolare fra gli innumerevoli che possono servire alla sua costruzione. Ma non dimentica mai, come voleva Sainte-Beuve, di insinuare «un po’ di fisiologia e un po’ di lirismo» nella sua indagine letteraria, che è poi anche psicologica, storica, simbolica.

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Dettagli

3
1990
7 maggio 1990
636 p., ill.
9788845907579

Valutazioni e recensioni

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Max
Recensioni: 3/5
Una distinzione

Il libro di Citati è ottimo, da quattro stelle. Piuttosto mi preme segnalare un difetto dell’edizione che da Adelphi non ti aspetteresti mai: mancano le pagine 145-160! Incredibile!!

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Carlo M.
Recensioni: 1/5

Mi interesso di Goethe e delle sue opere da un paio d'anni, perciò mi ritengo e sono un novizio (conosco comunque abbastanza bene il tedesco e leggo il Faust nelle varie edizioni bilingui stampate in Italia). Sono disposto ad ammettere che Pietro Citati sia un valente e dottissimo critico letterario, ma il suo volume su Goethe (che ho abbandonato dopo nemmeno un centinaio di pagine) lo trovo fastidioso, sovraccarico, ampolloso: in una parola, illeggibile. Ma lo ha scritto per far vedere quanto è bravo, colto e intelligente? Di certo non ha reso un servizio al povero lettore... e nemmeno a Goethe, se vogliamo dirla tutta! Acquisto inutile, tempo perso, denaro sprecato. Amen.

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Riccardo
Recensioni: 2/5

I libro di Citati confonde caoticamente i fatti con la "narrativa": lo stile eccede nei barocchismi, sacrificandone l'intento biografico e appesantendo a dismisura la scorrevolezza dell'opera. Il contenuto riesce in poche occasioni a fare capolino dall'oceano di "formalismo lirico". Nei pochi casi in cui ci riesce, risulta pressoche' oscuro e poco "scientifico", caratteristica imprescindibile per una buona biografia. Se vi interessasse una biografia "scientifica" su Goethe, sara' meglio che vi rivolgiate altrove.

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Voce della critica


recensione di Cases, C., L'Indice 1990, n.10

L'opera di Citati ritorna dopo vent'anni con qualche aggiunta nel capitolo sulla "Notte classica di Walpurga" e un utile indice analitico desunto dalla traduzione americana. Quando usci la prima volta (nel 1970, da Mondadori), nonostante il notevole impegno dell'autore, l'acribia filologica ben visibile tra le pieghe del bello stile e le ottime credenziali accademiche dei consulenti mobilitati, il libro non ebbe buona stampa tra gli addetti ai lavori. C'erano ragioni buone e cattive: regnava quell'atmosfera che oggi i begli spiriti che allora ne erano impregnati definiscono "dittatura di sinistra", eravamo tutti lukacsiani o almeno storicisti, diffidavamo dell'outsider e della sua sicumera che gli permetteva di scrivere su un argomento cosi difficilmente abbordabile un volume di cui invidiavamo lo spessore; non ci piaceva il metodo di Citati e il suo modo di confondere critica e narrativa; infine l'anno precedente era uscito il libro di Giuliano Baioni, "Classicismo e rivoluzione. Goethe e la Rivoluzione Francese", che abbordava l'inabbordabile con procedimenti e risultati che ci sembravano assai più persuasivi.
Eppure a vent'anni di distanza si vede che proprio l'estraneità di Citati al clima e alle idee del dopoguerra gli avevano suggerito molte giuste intuizioni che sarebbero state riprese dalla critica posteriore. Il libro, dato l'estremo soggettivismo dell'autore, non aveva un disegno che occorresse giustificare: era centrato su due opere, "Gli anni di noviziato di Wilhelm Meister" e il secondo "Faust", con dei capitoli intercalati che raccontavano la vita di Goethe dopo il ritorno dall'Italia. Questa riduzione a due opere fondamentali della maturità e della vecchiaia permetteva di insistere sul Goethe che più piaceva all'autore: il Goethe simbolico o meglio allegorico, il Goethe della lega della Torre e del carnevale del primo atto del secondo Faust; il Goethe che si richiama all'alchimia e tenta di proporre una scienza che non imponga i suoi schemi alla natura ma si mantenga fedele allo spirito di unità che la anima. Questi motivi, che Citati aveva in parte desunto dal libro di R.D. Gray, "Goethe the Alchemist" (Cambridge 1952), diventano fondamentali negli studi posteriori, specie nel libro di Heinz Schlaffer, Faust II. Teil. Die Allegorie des XX Jahrhunderts" (Stuttgart 1981), che li utilizza per una riconsiderazione non lukacsiana dello spirito anticapitalistico in Goethe. Quello che in Citati era al servizio di un'interpretazione antistoricista qui viene ricondotto a una diversa forma di storicismo. Ma nelle osservazioni particolari l'antistoricismo di Citati otteneva gli stessi esili. Quando egli, nel famoso dialogo con Faust e Elena, in cui questa impara a imitare la rima usata dall'eroe qui trasformato in cavaliere crociato, si rifiuta di vedere con Lukács un momento particolarmente importante in cui si attua la sintesi di spirito classico e medievale, limitandosi a osservare che "tra i castelli gotici di cartone e i trionfi della magia di Mefistofele" anche Elena "diventa un'abile attrice moderna e adotta perfino le rime baciate, con le quali un Minnesanger come Faust ama esprimersi", credo che sia lui ad aver ragione.
Se ha spesso ragione come interprete di Goethe, ha però sempre torto come scrittore. Qui si trova per la prima volta, credo, ampiamente dispiegato il novello modo di scrivere citatiano, e non è che questo ci rallegri. Il suo pregio, per chi non se ne stanca presto, può essere l'onda avvolgente del discorso che permette di trasformare tutto in racconto. Ma il lettore è sconcertato dall'indistinzione che ne risulta tra fatti e ipotesi tra accertato e immaginato. Qualche esempio: "I cortei mascherati... sembrano quelli che qualche decennio prima avevano rallegrato la corte di Lorenzo il Magnifico e che Anton Francesco Grazzini aveva raccolto e illustrato in un libro". Ma questo libro l'ha letto solo Citati o anche Goethe? Come facciamo a saperlo? "Come negli affreschi del Camposanto di Pisa [gli anacoreti] vivono nelle caverne montane..." Benissimo, ma chi fa il paragone: Citati o Goethe? Immagino che queste per Citati siano domande da filistei. Il fatto è che i filistei come noi sanno che Goethe conosceva la raccolta del Grazzini e si è ispirato all'affresco di Pisa, ma non tutti lo sanno.
Inversamente si dice del famulus Wagner: "Leggeva qualche tragedia greca, si esaltava declamando le orazioni di Cicerone, le storie di Livio e le "Vite parallele" di Plutarco, studiava i più famosi trattati di retorica dell'antichità: forse collezionava codici di Origene e di Valerio Massimo; e tra i testi più moderni avrà amato specialmente i dialoghi di Erasmo e la "Poeterei" di Martin Opitz". Il "forse" dovrebbe separare i fatti dalle ipotesi, ma siccome qui si tratta di un personaggio inventato della cui biblioteca, a differenza di quella di Don Ferrante, non sappiamo un bel nulla, sono tutte ipotesi, le prime forse più verosimili delle seconde. È lecito ricostruire le letture di un personaggio in un'evocazione fantastica, ma non in un contesto in cui di letture autentiche ce n'è tante.
Citati non distingue i gradi di realtà perché tutti rientrano nella sua onniscienza di demiurgo. Wagner è un'emanazione di Goethe, ma Goethe è un'emanazione di Citati, quindi lui sapendo tutto di Goethe sa anche che libri avrebbe fatto leggere a Wagner. Dunque ancora riserve accademiche? Ebbene si, anche se la fantasia sfrenata qualche volta l'azzecca là dove fallisce la prudenza accademica. E poi si sarebbe inclini all'indulgenza se questo libro, che tutto sommato resta il migliore dell'autore, fosse rimasto un'eccezione. Invece dopo vennero i Tolstoj e i Kafka, e Cadmo si congiunse in matrimonio con Armonia.

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Conosci l'autore

Pietro Citati

1930, Firenze

Pietro Citati è stato un critico e scrittore italiano. Collaboratore di riviste («Paragone», «Nuovi Argomenti») e quotidiani («Il Giorno», «Corriere della Sera», «la Repubblica»), è stato condirettore della Fondazione Lorenzo Valla. Lettore acuto e raffinato, estraneo a scuole e correnti, coltiva un modello di accostamento mimetico al testo – sulle orme di Sainte-Beuve – capace di ricreare i valori poetici dell’autore analizzato. «Se vogliamo conoscere il senso dell'esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell'angolo più oscuro del capitolo, c'è una frase scritta apposta per noi.»In monografie e raccolte di saggi di largo successo Citati ha rievocato grandi...

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