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Anno edizione: 2003
Anno edizione: 2014
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Meglio dirlo subito:Il governo della folliaMatti, indemoniate e vagabondi. Dinamiche di internamento manicomiale tra Otto e Novecento, Marsilio, 2003; cfr. recensione in questa pagina), rivede radicalmente gli approcci tradizionali e propone, sulla base di una minuziosa ricerca d'archivio, nuove letture del fenomeno.
Tema del libro è quello delle modalità dell'assistenza psichiatrica nell'Italia tra Cinquecento e Settecento. L'autrice scava ed elabora una questione che era data per felicemente risolta e che invece si rivela improvvisamente tutta da studiare. In epoca moderna, secondo l'interpretazione classica, i folli non avevano status né strutture specifiche loro destinate e men che meno la rudimentale medicina del tempo si occupava di loro. Merito del volume è mostrare tutti i limiti di una simile impostazione: il primo spedale italiano espressamente destinato ai folli (sulla base di un modello spagnolo) è quello di Santa Maria della Pietà in Roma, datato intorno al 1550 a cui seguì quello di Santa Dorotea nel 1643. Occorre quindi retrodatare la fondazione delle strutture esplicitamente per folli, ma non si tratta solo di questioni cronologiche. La presenza di simili strutture nasconde ben altro, la consapevolezza di una dimensione univoca della follia all'interno della più ampia categoria della devianza e della malattia. Uno spazio inedito in cui la medicina era, con andamento altalenante, sempre più presente e in cui la "cura" del folle si trasformava da un vago prendersene carico ad azione terapeutica, conservando sempre la segregazione come azione centrale.
Separare i folli dai malati non è insomma un'operazione compiuta tra Sette e Ottocento, proprio perché i contorni di una simile differenziazione sono presenti, non solo in Italia, a partire dal XVI secolo. La "scoperta" della follia non va in parallelo alla nascita di una definita branca della medicina, la psichiatria; va pertanto ulteriormente rivista, come già avviene da tempo, la diffusa vulgata secondo cui l'eroica rivoluzione pineliana - compiuta durante la rivoluzione francese - portò alla nascita del manicomio.
Supportata da un poderoso apparato documentale, l'autrice indaga con una scrittura vivace sulle vicende dei primi ospedali per folli, rilevandone la precoce fondazione, la loro diffusione a partire dal Settecento in tutta Italia (ma sarebbe meglio dire a nord di Roma), la rilevanza data all'interno di simili strutture all'aspetto della cura e a quello medico, la breve durata media dei ricoveri, con costanti pratiche di ammissioni e dimissioni, rilasci e rientri. Lo spedale di epoca moderna è caratterizzato dalla presenza di un apparato medico, con le caratteristiche proprie del periodo, e dall'ambigua confusione di ruoli fra terapia e reclusione. Ma, nello stesso modo del moderno manicomio, dentro gli antichi ospedali si gioca una partita più ampia, fatta di relazioni sociali, di uso della struttura da parte delle famiglie, di mediazioni e scambi, di conflitti tra poteri statali, religiosi, medici. Come ci mostra l'autrice, non mancano poi "carriere di internamento", dove il folle passa dagli ospedali generici a quelli per pazzi, dalle mani dell'inquisizione a quelle dei cerusici che lavoravano sui "pazzerelli"; salvo poi uscirne "guarito" e magari collezionare successive recidive.
Si tratta in fondo di dinamiche simili a quelle di epoca contemporanea che obbligano a vedere con occhi diversi i discorsi classici sulla rifondazione assistenziale di fine Settecento; esiste veramente una sorta di anno zero della psichiatria? È veramente Pinel che istituisce la pratica manicomiale? Possiamo parlare di un improvviso "big bang" dell'assistenza psichiatrica che trova in La nascita della clinica di Foucault la sua migliore descrizione? Senza essere iconoclastici, gli argomenti addotti da Roscioni per incrinare il Grande racconto manicomiale non mancano di certo, e sono ben organizzati, anche se il volume è per lo più incentrato (forse troppo) sui casi di Roma e Firenze, dove esistevano i principali ospedali per folli italiani del XVI e XVII secolo.
Si intravedono pertanto nuovi e fecondi filoni di ricerca. Se è vero che in Italia fino al Settecento gli ospedali per folli sono solo due, si tratta di approfondire gli studi sulle sezioni speciali per i "pazzerelli" che un po' tutti gli ospedali generici, le carceri e le case di accoglienza italiane hanno dal Cinquecento in poi. Si tratta di approfondire il ruolo dei medici all'interno delle varie strutture, di verificare come tra Seicento e Settecento cambino i soggetti che si propongono di prestare la loro attenzione ai "dementi"; di come muti lo sguardo del potere politico, di come la segregazione assuma nuove modalità di selezione; di come, infine, le famiglie dei ricoverati modifichino la loro percezione del ricovero.
M. Moraglio
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