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La protagonista di questo romanzo è una virago deludente per personalità e capacità decisionale circa la sua vita. La narrazione e la trama sono scontate, nessuna nota significativa nella ricerca strutturale che latita inesistente. Prima di pubblicare bisognerebbe apprendere le tecniche della narrazione se non sono possedute in partenza o essere realisti e rinunciare. Graffio è la brutta favola di una società devastata dalla barbarie, dall'arroganza, dal presunto potere che non rispetta niente e nessuno. L'autrice non sembra esserne esente, lo si deduce dal tono con il quale descrive questa anti-civiltà dalla quale non sa distaccarsi. Per quello che racconta e per come lo racconta, dichiara, infatti, di provenire dallo stesso ambiente. Risultato disturbante. L'anti-umanesimo tradotto in prosa bassa per un esordio che dovrebbe rimanere un tentativo isolato. Astenersi da nuove pubblicazioni.
Delude questa triste storia imbastita tra scelte opportuniste di vita e presa di distanza presunta da quelle scelte. La doppia morale, che si tenta di impartire in questo romanzo, è l'immagine del nostro tempo. Prima si mangia nel piatto che si è voluto a tutti i costi per salire la scala sociale, Quando poi il gioco, avviato senza scrupoli, si rivela infruttuoso o troppo rischioso, lo si rinnega. Ma non fino in fondo perché di quei privilegi, sui quali si è sputato, ci si serve ancora. Gli opportunismi dei cordoni ombelicali non del tutto recisi sono il vero filone continuo di questa prima prova narrativa che mostra la corda nel non riuscire in pieno a sostenere struttura e ritmo della scrittura ad ampio respiro. Si percepisce, inoltre, la difficile conduzione di una lingua non nativa, che sembra essere stata formulata secondo uno schema di lessico e parole altre, tradotte poi in italiano, con criterio meccanico. I personaggi sono stereotipi: ovvietà e luoghi comuni, contrasti e conflitti da sceneggiatura usurata. Preferibile rivolgere l'attenzione altrove.
Lo scenario di "Graffio" è quello fin troppo abusato nella narrativa commerciale di oggi: protagonista disfunzionale, contesto familiare disfunzionale, presunta critica sociale, lingua corriva e dialoghi da fiction televisiva, fragilità imposta da rapporti umani prima voluti, per imporsi socialmente, e poi rifiutati perché si sono rivelati tossici. Un cliché trascurabile e scontato, aggravato dalla scelta presunta di una lingua e di uno stile che avrebbero voluto essere forti e caustici ma che si rivelano invece scontati e inefficaci, al limite del caricaturale. Si sono ridotte a qualunquiste considerazioni con velleità di denuncia le presunte scudisciate ai danni di certa borghesia che anima il libro e che sembra apparentarsi a tante famiglie radical-chic, che hanno insinuato una mano in politica per abbracciare con l'altra la finanza, la cultura di massa, l'informazione, la divulgazione. Infine l'immagine di copertina. Scatena una reazione negativa, di rifiuto e di presa di distanza dai contenuti: una madre che mette a repentaglio la sussistenza in vita del suo stesso figlio a gravidanza inoltrata. Mai sentito parlare di maternità responsabile? Questa sagoma, dall'aria sadica e con una gestualità dolosa, fa riflettere sul ribaltamento dei principi basilari che stanno minando la nostra società. Inquieta l'analogia con tanti fatti di cronaca che vedono le madri uccidere i loro figli.
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