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La storia della didattica delle lingue è il campo, ancora non molto esplorato, nel quale viene a integrarsi questo nuovo volume della collana di studi linguistici "In forma di parole" diretta da Gian Luigi Beccaria. Silvestri si occupa da anni, su vari versanti, dell'insegnamento dell'italiano come seconda lingua in Spagna, ma oltre quest'ambito specialistico, le sue ricerche, culminanti oggi nelle pagine che ci interessano, illustrano diversi e numerosi aspetti della storia della linguistica e forniscono anche lo spunto per più ampie riflessioni sull'immagine della lingua italiana all'estero nonché sulla particolare condizione di koinè letteraria che ha segnato il suo sviluppo storico.
Il volume è strutturato in due parti ben distinte, delle quali la prima raccoglie gli esiti di un minuzioso spoglio delle diciassette grammatiche italiane ad uso d'ispanofoni pubblicate in Spagna (tranne una, rimasta inedita, sulla quale torneremo) tra la fine del secolo XVI e il 1900: la prima grammatica risale appunto al 1596 mentre l'ultima è stata stampata nel 1883. In realtà a queste opere si applica l'etichetta generale di grammatiche perché quasi tutte hanno un impianto di base grammaticale, ma sarebbe più esatto annoverare i volumi analizzati da Silvestri come metodi d'insegnamento. Dall' Arte muy curiosa por la cual se enseña...la lengua italiana di Trenado de Ayllón ai due Cursos de italiano di Rivero, essi sono quasi tutti stati concepiti come libri di testo o come sussidi didattici, con una finalità, quindi, più applicativa che non speculativa. Infatti non sono poche le occasioni in cui Silvestri ha potuto rilevare inesattezze e incoerenze grammaticali tali da mettere in rilievo il fatto che gli autori fossero mossi più da un reale bisogno di strumenti d'appoggio a una loro attività didattica che da un desiderio erudito o scientifico. Non meno frequentemente si sottolineano qua e là nei testi osservazioni che parallelamente testimoniano l'esperienza d'insegnamento più che un interesse d'approfondimento linguistico: significativo, tra tutti, il caso di Luis Bordas, autore di tre diverse gramáticas italianas nella prima metà dell'ottocento, che si titola di profesor de lengua francesa e italiana e di catedrático del idioma italiano e le cui interessanti osservazioni denotano, in effetti, una lunga pratica docente.
Tra tutte queste opere rimane a parte quello che costituisce, forse, il più interessante dei casi considerati da Silvestri, il più stuzzicante soprattutto dal punto di vista della storia della linguistica, sia per la scarsa frequentazione che implica la sua condizione d'inedito sia per la rilevanza del suo autore nel panorama degli studi glottologici spagnoli. Si tratta della Gramática de la lengua italiana dell'erudito gesuita Lorenzo de Hervás y Panduro (1735-1809), residente in Italia, a seguito delle espulsioni dei gesuiti dalla Spagna, dal 1767 al 1798 e dal 1801 alla sua morte, quando, sotto la protezione di Pio VII era diventato bibliotecario del Quirinale. Le teorie di Hervás, precursore del metodo storico-comparativo, costituiscono un capitolo fondamentale del pensiero linguistico spagnolo sul quale l'analisi eseguita da Silvestri su di un'opera poco conosciuta com'è questa Gramática italiana ci offre nuovi e originali scorci. Infatti ognuna delle opere considerate viene studiata nelle sue implicazioni sia a livello delle concezioni linguistiche soggiacenti, sia nel terreno - più immediato e centrale per gli scopi della monografia - delle posizioni metodologiche e didattiche adottate più o meno consapevolmente ed esplicitamente dagli autori. Si tratta quindi di un interessante percorso storico che permette di scorgere il passaggio da una didattica basata sulla grammatica e la memorizzazione (una didattica, diciamo, "da lingua morta"), a un'altra, nella fattispecie ben rappresentata dal famoso metodo Ollendorff, in cui cominciano a comparire le prime teorie sull'apprendimento "naturale" delle lingue.
Ma se gli specialisti in materia troveranno di grande interesse questo percorso, è sicuramente la seconda parte, dedicata ai Contesti culturali dei testi analizzati nella prima, quella che offre più attrattive ai non addetti ai lavori. In queste ultime pagine Silvestri tira le somme dell'analisi precedente per disegnare, attraverso il settecentesco concetto di "genio della lingua", l'immagine che dell'italiano si andava formando nella Spagna di questi secoli, dall'iniziale, enorme prestigio della poesia petrarchesca al grande trionfo ottocentesco del dramma lirico: una lingua "musicale" e "dolce" negli apprezzamenti più positivi, ma anche "effeminata" e "molle", una lingua adatta all'espressione poetica, in contrasto con la "razionalità" del francese; una lingua infine di chiara impronta letteraria che faticava a offrire modelli di parlato naturale e colloquiale agli ispanofoni che, magari attirati anche dal luogo comune della facilità e della vicinanza allo spagnolo, si accingevano a imparare la lingua delle ammirate creazioni di Tasso e Ariosto, Verdi e Rossini.
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