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La grande casa - Nicole Krauss - copertina
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Descrizione


Nell'inverno del 1972, a New York, Nadia vive reclusa in una casa vuota, a fare i conti con la solitudine dopo un abbandono e con le difficoltà del suo mestiere di scrittrice. L'incontro di una sola notte con un giovane poeta cileno le cambierà la vita: lui decide di tornare in Cile, dove verrà inghiottito dalle carceri di Pinochet, ma lascia in eredità a Nadia un'enorme scrivania, dotata di diciannove piccoli cassetti, uno dei quali impossibile da aprire. Forse è la stessa scrivania su cui sta cercando di mettere le mani da sessant'anni un antiquario di Gerusalemme, nel tentativo di ricostruire, pezzo dopo pezzo, lo studio del padre, saccheggiato dai nazisti a Budapest nel 1944. E per un periodo sembra essere appartenuta anche a un'altra scrittrice, Lotte Berg, fuggita a Londra dalla Germania nazista, che in quei cassettini nascondeva al marito un terribile segreto. Una scrivania che unisce destini lontani, che con la sua ingombrante presenza o la sua insopportabile assenza incarna ricordi, rimpianti e debolezze, e diventa il simbolo di tutto ciò che riusciamo o non riusciamo a trasmettere alle persone che amiamo.
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Dettagli

2012
334 p., Brossura
9788860888303

Valutazioni e recensioni

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Simone
Recensioni: 3/5

Forse il voto ideale sarebbe 3 stelle e mezzo, perché si tratta di un romanzo molto articolato, frutto sicuramente di duro lavoro, e dovuto a una scrittrice che mi pare sapere il fatto suo. Le poche perplessità sono dovute a una trama che a tratti risulta più ingarbugliata che complessa e ad una conclusione forse eccessivamente frettolosa dopo tutto il ben di Dio che l'ha preceduta. Avrei in sostanza optato per una maggiore chiarezza nella parte finale. Lo stile è buono, davvero una scrittrice interessante.

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luisa
Recensioni: 4/5

E' il primo libro che leggo di Nicole Krauss e l'ho trovato interessante,un po' inverosimile e a tratti un po' lento ma la lettura ne e' valsa la pena,quindi lo consiglio.

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claudio
Recensioni: 5/5

Altro bel libro di Nicole Krauss. Anche se complesso, con diverse voci narranti. All'inizio e per un bel po' non si riesce a capire bene, poi piani piano le varie storie si intersecano e tutte hanno come sfondo la famosa scrivania. Inverosimile, se vogliamo, ma sempre un ottimo romanzo; da consigliarne la lettura.

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Recensioni

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Voce della critica

"Se non sono me stesso, chi lo sarà per me? E quand'anche fossi me stesso, che cosa sono io? E se non ora, quando?". Questa nota citazione, raccolta nelle "Massime dei Padri" del Talmud e attribuita a Hillel, maestro della Mishna ai tempi di Erode il Grande, è l'insegnamento più significativo lasciato in eredità ai propri seguaci, fra cui Yochanan ben Zakkai, il rabbino del primo secolo che compare nelle ultime pagine del romanzo La grande casa di Nicole Krauss. Per quanto la massima sia suscettibile di interpretazioni molteplici, la più ricorrente suggerisce che dall'unicità di ogni singolo individuo, coinvolto e impegnato nell'irripetibilità di ogni frammento del vissuto, derivi la duplice responsabilità che segna ogni sua decisione: delle proprie azioni nella loro attualità e delle loro ineluttabili conseguenze. È, al contempo, anche un monito alla concentrazione sul sé come atto fondativo della propria costruzione di identità, destinato tuttavia a rimanere sterile se non completato da un'apertura verso l'altro.
Incapsulati in un dolore denso e muto, i personaggi del romanzo di Krauss sembrano giungere tardi a questa percezione e non senza rimpianti ("Che prezzo avevamo pagato per aver soffocato nel buio tanta parte di noi stessi", commenta nella chiusa uno di loro). Ma se la perdita – di figli, affetti, desideri, occasioni – è la cifra che li accomuna tutti, ciascuno di loro mette in atto pratiche esclusive per ammansire la rabbia dei propri laceranti fallimenti. Recentemente annoverata, insieme al marito Jonathan Safran Foer, fra i "20 Under 40", i venti scrittori più promettenti al disotto dei quarant'anni secondo l'autorevole "New Yorker", Nicole Krauss dimostra un'abilità insolita nell'ideazione di tali strategie di sopravvivenza. Talvolta, addirittura, dell'illusione di una seconda possibile vita a cui qualche personaggio si riappende "come un cappotto caduto dal gancio".
Il silenzio e la solitudine, per esempio, sono un esercizio tanto metodico quanto salvifico per due dei quattro narratori. Nadia, il primo anche in ordine di apparizione, ci racconta la sua storia rivolgendosi a qualcuno che chiama "Vostro Onore" e il lettore dovrà pazientare fino alla fine del romanzo per comprenderne le ragioni. Scrittrice newyorchese di scarso talento, separata da un marito che le svuota la vita e l'appartamento, è alla ricerca di una scrivania sulla quale lavorare. Entra in possesso di quella di Daniel Varsky, un giovane poeta cileno in partenza per un soggiorno nel suo paese e ancora ignaro che da quel viaggio non farà mai più ritorno, dannato e annullato fra i desaparecidos di Pinochet. Varsky, a sua volta, aveva ricevuto la scrivania in dono da Lotte Berg, tedesca trapiantata a Londra, anche lei scrittrice non troppo nota e creatura imponderabile. Sopravvissuta alla Shoah, nasconde al marito un terribile segreto che riaffiora prepotente solo dopo la propria morte e solo dopo che quell'unico cassetto della scrivania rimasto chiuso a chiave per decenni venisse finalmente aperto. Anche Weisz, antiquario ebreo, è alla ricerca di quel mobile. Apparteneva al padre, e ora lui, con determinazione quasi maniacale, è disposto a girare per il mondo e a pagare qualsiasi prezzo pur di riappropriarsene e di completare così la ricostruzione dello studio di Budapest in cui il padre aveva lavorato fino al 1944, quando i nazisti vi avevano fatto irruzione e l'avevano saccheggiato.
È evidente che la scrivania – "una specie di mostro grottesco e minaccioso", di legno scuro, con un muro di diciannove cassetti poco pratici per via delle dimensioni enormi – non è un semplice oggetto, bensì un motore narrativo, capace di avviare e intrecciare le storie. Un espediente non certo originale (pensiamo, per esempio, alla lettera rubata di Edgar Allan Poe, alla statuetta del falcone maltese di Dashiell Hammett o alla palla da baseball del sottomondo di Don DeLillo), ma del resto, "se pensi di essere originale sotto qualsiasi aspetto," commenta il magistrato israeliano Aaron, padre del soldato e scrittore Dov, "farai meglio a ripensarci". L'unicità della prosa di Nicole Krauss, ben restituita dalla traduzione di Federica Oddera, consiste piuttosto nel tono della narrazione, nello scandaglio lento degli impercettibili moti emotivi dei personaggi, nell'esplorazione crudele dei loro dubbi esistenziali, nell'inossidabile certezza della funzione della memoria e del valore, infine, della scrittura, coefficienti assommati e condensati nel titolo del romanzo. Scopriamo infatti che la "grande casa" altro non è che l'idea talmudica di una Gerusalemme risorta, dopo la distruzione del tempio, attraverso la scuola di Yavne di Yochanan ben Zakkai: la ricomposizione di un'entità totale attraverso il collage di frammenti sacri di memoria che ogni ebreo avrebbe conservato, la rinascita "di una memoria così compiuta da coincidere nella sua essenza con l'originale stesso". Forse quell'unico cassetto chiuso della scrivania conservava anche questo: duemila anni di storia e di storie da tenere vive nel ricordo e da tramandare.
Daniela Fargione  

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Conosci l'autore

Nicole Krauss

1974, New York

Vive a New York. Ha lavorato per la radio e ha pubblicato racconti su diverse riviste americane, tra cui "The New Yorker" e "Esquire". Nel 2002 pubblica il suo primo romanzo, Man walks into a room (Un uomo sulla soglia, Guanda 2006). Nel 2004 pubblica sul New Yorker un estratto di The history of love (La storia dell'amore, Guanda 2005) suo primo grande successo internazionale opzionato da Warner Brothers per essere diretto da Alfonso Cuarón. La grande casa (The Great House) pubblicato in Italia sempre da Guanda (2011) è stato finalista al National Book Award 2010. Nicole Krauss è stata segnalata dal New Yorker tra i venti migliori scrittori americani under 40.È la moglie dello scrittore Jonathan Safran Foer.

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