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La grande guerra contadina in Urss. Bolscevichi e contadini (1918-1933) - Andrea Graziosi - copertina
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1998
1 marzo 1998
144 p.
9788881146024

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In questa innovativa sintesi, basata in larga parte su nuovi materiali d'archivio e già pubblicata negli Stati Uniti, l'autore ricostruisce i vari atti del grande scontro che oppose in Urss i due grandi vincitori emersi dalla "guerra civile" fino al sito tragico epilogo della carestia del 1932_33 e traccia la storia di un peculiare processo di "modernizzazione" basato sulla spietata repressione della partecipazione autonoma della popolazione.

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Graziosi, Andrea, La grande guerra contadina in URSS. Bolscevichi e contadini (1918-1933), Esi, 1998
Benvenuti, Francesco, Storia della Russia contemporanea 1853-1996, Laterza , 1999
recensioni di Bongiovanni, B. L'Indice del 1999, n. 05

Che cos'è stata la rivoluzione russa del 1917? Certo non una rivoluzione a tutto tondo bolscevica, come ha preteso la concordia discors dei tantissimi libri rossi e degli ancor più numerosi libri neri che si son succeduti nei decenni. La leggenda si è esaurita. Sta facendo il suo ingresso la storia. Le esplorazioni negli archivi ex-sovietici, e le riflessioni resesi necessarie dopo il collasso congiunto dell'Urss e dei comunismi, hanno infatti aperto nuovi cantieri e nuovi e assai problematici, ma già sufficientemente chiari, scenari. Il passato sta cioè rapidamente ridefinendosi. Il merito è delle ricerche estremamente serie che in questi ultimi anni sono state effettuate, esposte e meditate senza chiasso. Graziosi, che ha al suo attivo alcuni originali saggi pubblicati in Francia e negli Stati Uniti, traduce finalmente per i lettori italiani questo suo piccolo (quante cose si possono dire in poche pagine!) e già fondamentale volumetto, pubblicato a Harvard nel 1996 e utilizzato a piene mani, talora al limite della fotocopia, da Nicolas Werth, l'autore del capitolo sull'Urss - peraltro di gran lunga il migliore - del Libro nero del comunismo (cfr. "L'Indice", 1998, n. 3).

All'origine della tormentatissima e prolungata costruzione dello Stato sovietico, questa è la tesi che emerge, vi è stata, al di là (e al di fuori) delle prospettive socialiste sbandierate, la più sconvolgente guerra contadina europea, ed eurasiatica, della nostra epoca, una guerra svoltasi in due terribili atti, il 1918-22 e il 1928-33. Risulta comunque confermata la sequenza delle tre rivoluzioni del 1917, nessuna delle quali bolscevica. La prima, sul piano logico e non cronologico, fu la rivoluzione antizarista e occidentalistica della ristretta e modernizzatrice élite liberaldemocratica e socialriformistica. La seconda, anch'essa largamente minoritaria, fu la rivoluzione operaia e urbana dei soviet, che mirava ad affiancarsi antagonisticamente, in quanto "doppio potere", all'esecutivo "borghese" formatosi nel febbraio. La terza fu l'immensa, enormemente maggioritaria, incontrollata e onnipervasiva rivoluzione dei contadini, i quali, ancora nel 1926, compresi i nomadi delle diverse nazionalità, costituivano ben più dell'80% dell'intera popolazione del nuovo Stato. I bolscevichi, inizialmente, nel 1917, improvvisando giorno per giorno la loro politica, assecondarono tutte e tre le rivoluzioni, nessuna delle quali poteva fondersi con le altre e tantomeno vincere da sola. Tutte e tre, insieme alla guerra, poterono però sfasciare e rendere inoperante, come mai era accaduto in età moderna, lo Stato. I bolscevichi non distrussero quindi lo "Stato borghese", come pretese l'epica marxista-leninista, ma afferrarono e occuparono uno Stato che era un guscio vuoto e che praticamente non esisteva più. Il loro non fu dunque neppure un "colpo di Stato". Lo Stato infatti non c'era. Nell'ottobre la prima delle tre rivoluzioni, con il perdurare della guerra, era del resto già agonizzante. Ai bolscevichi bastò darle il colpo di grazia. Nell'estate dell'anno successivo la seconda rivoluzione era stata praticamente abbattuta e i soviet erano stati esautorati. Restava la terza rivoluzione, quella contadina, che i bolscevichi, controrivoluzionari dunque assai più che rivoluzionari, nel contesto terribile della "guerra civile" e dell'aggressione delle potenze dell'Intesa, cominciarono a combattere e ad abbattere sin dalle requisizioni della primavera del 1918. Quest'ultimo processo durò 15 anni, con all'interno il fragile interludio della Nep, e causò, in gran parte per fame, 15 milioni di morti. Alcune centinaia di migliaia furono infatti le vittime negli scontri e nelle repressioni del 1918-21, circa cinque milioni perirono nella carestia del 1921-22, quasi un milione nelle deportazioni e nelle repressioni della fase iniziale della collettivizzazione, un altro milione (o più) nella denomadizzazione dell'Asia centrale e sette milioni, una cifra spaventosa, nella grande carestia del 1932-33, che addomesticò tragicamente le campagne, chiudendo l'immane contenzioso storico che aveva opposto lo Stato (zarista e comunista) alla quasi totalità di una popolazione che, orgogliosamente estranea com'era allo Stato stesso, non aveva né promosso né subito la "nazionalizzazione delle masse", processo che, come sembra suggerire Benvenuti, fu in parte compiuto solo con la seconda guerra mondiale, o "grande guerra patriottica", a partire peraltro dal 1941 (dopo cioè l'alleanza con Hitler).

La guerra contadina, risposta alla rivoluzione "anarchica" di quanti si erano presa la terra, forgiò, secondo Graziosi, una sorta di "bolscevismo plebeo", o "nazionalbolscevismo", che "deoccidentalizzò" rapidamente il precedente bolscevismo, già autoritario ed elitista, ma programmaticamente legato al socialismo operaio europeo, di personalità come Trockij e come, in parte, lo stesso Lenin. Estrema fu la brutalità e arcaiche le pratiche impiegate, il che provocò in molti casi una catastrofica regressione. La stessa "guerra civile" va sottratta al semplice bipolarismo rossi-bianchi e va letta come un intricato groviglio di conflitti nazionali, sociali e persino religiosi o etnici (armeni contro musulmani e viceversa, pogrom antiebraici, ecc.). La rivoluzione-controrivoluzione che si affermò fu così d'ordine "plebeo", vale a dire né operaia né "socialista". Ciò spiega perché il gruppo dirigente di Stalin, sbaragliando gli intellettuali internazionalisti alla Trockij (che fu prestissimo un isolato), poté imporsi con facilità. Fu infatti il prodotto "politico" del 1918-22. I contadini, tra loro assai diversi nelle diverse realtà, avevano d'altra parte compiuto, cavalcando in modo autoreferenziale la trasformazione agraria in atto, una sorta di secessione dalla restante società russa. Avevano infatti inseguito, mentre lo Stato zarista crollava e la tabula rasa si allargava, la quasi totale autosufficienza del mondo rurale, da attuarsi in parte, ma sempre caoticamente, con la ridistribuzione delle terre (come nelle predicazioni populistiche) e in parte con l'accesso, dopo l'eliminazione (anche fisica) dei possidenti, all'agognata proprietà privata. In molti casi miravano a un libero commercio per il mercato locale, a un autogoverno senza gli odiati comunisti e a forme di socializzazione che nulla avevano a che fare con la altrettanto odiata nazionalizzazione.

Nel 1922, a ogni buon conto, con il venir meno del pericolo "bianco", con il costituirsi dell'Urss, e soprattutto con la devastante carestia del 1921-22, si arrivò a una tregua d'armi nella guerra, anche economica e annonaria, tra Stato bolscevico e contadini. Il 1918-22, del resto, aveva rappresentato una sorta di prova generale e consentito l'accettazione di uno straordinario livello di coercizione. I contadini non erano però ancora del tutto domati. Nel 1928 cominciò allora, anche questa volta con le requisizioni forzate, l'atto secondo. L'assalto vero e proprio alle campagne - di cui la dekulakizzazione fu solo un aspetto - si verificò però tra il novembre del 1929 e il febbraio del 1930. Per Graziosi è evidente la continuità rispetto al 1918-22. Anche questo secondo atto si concluse con una terrificante carestia. La quale ebbe, rispetto alla precedente, in particolar modo in Ucraina, caratteri "politici" e "indotti" ancora più marcati, oltre che ormai, grazie anche a Graziosi, provatissimi. Nell'estate del 1933, comunque, vi fu la completa vittoria degli stalinisti sui contadini. La rivoluzione "plebeo-bolscevica", o lumpen - multiclassistica, condotta cioè da segmenti "declassati" di tutte le classi, aveva vinto contestualmente alla quindicennale controrivoluzione anticontadina. Non restava che sopprimere la vecchia guardia del bolscevismo "pre-plebeo": ciò che gli stalinisti cominciarono a fare a partire dal 1934. La "modernizzazione", fondandosi sullo sfruttamento militare-feudale dei contadini e sull'imposizione di un sistema servile, si trovò dunque ad essere inseparabile da un'evidente regressione. Di qui derivò, tra le altre cose, la permanente stagnazione e inefficienza dell'arcaico sistema agricolo sovietico.

E proprio sulle vicende di una difficilissima modernizzazione si sofferma, indagandola anche alla luce della categoria della continuità (dalla guerra di Crimea a El'cin), la bella e storiograficamente aggiornatissima sintesi di Benvenuti, un'impresa che conferma l'alto livello conseguito dalla russistica italiana. Lo Stato zarista, infatti, si risolse a effettuare riforme solo sulla base di spinte esogene. La sconfitta in Crimea (1856) portò alla liberazione dei servi (1861). La rivoluzione del 1905 portò a un sia pur debole parlamento. La guerra del 1914 fu invece accolta come un'occasione per arrivare a una revanche autocratica. Le conseguenze risultarono fatali e la rivoluzione bolscevica fu, da questo punto di vista, un episodio interno alla grande guerra. Benvenuti, che accetta le proposte di Graziosi, ritiene del resto che siano esistite due Russie (lo Stato e il non-Stato), la seconda delle quali popolare, multiculturale, economicamente soggetta alla prima, frammentata in una miriade di società naturali locali e non integrata. Il bolscevismo plebeo, suscitatore di un "nation-building straordinariamente contorto e drammatico", riuscì così là dove lo zarismo aveva fatto fallimento. Ma con costi umani esorbitanti e con esiti vistosamente regressivi. Finita la parossistica mobilitazione totalitaria (1917-53), nell'età di Chrusˇcˇëv e di Brezˇnev (1953-82) poté però formarsi un nucleo di società civile. Quest'ultima, in quanto tale, era incompatibile con uno Stato che si era strutturato annientando militarmente l'autonomia della popolazione. Il crollo era vicino.

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