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Bambini e ragazzi in libreria e in biblioteca solitamente la prima cosa che chiedono è "un libro che fa ridere" (o fa paura, meglio se le due cose sono insieme). Ma libri di questo genere se ne trovano pochi, perché la letteratura per l'infanzia, soprattutto quella italiana, per vecchia tradizione di origine deamicisiana ha sempre prediletto far piangere per educare, ammaestrare, insegnare. Guido Sgardoli, che di mestiere fa il veterinario, è il segno felice che qualcosa sta cambiando anche da noi; e infatti ha scritto un racconto che si fonda sui tre caratteri fondamentali del comico: di situazione, di azione e di linguaggio. In Danimarca, terra di miti e di fiabe, se esiste la Sirenetta, perché non possono esistere gli Sgnuk? Che non sono folletti o gnomi o elfi né fantasmi, ma esserini pressoché invisibili e inafferrabili che un po' ricordano gli Sgraffignoli della famosa saga di Mary Norton. Yndig, un ragazzo grassissimo, con lenti spesse come bottiglie, con un difetto di pronuncia (Che cofa è fuffeffo, profefforeffa? Non fuffurare!), con genitori squallidi che lo insultano in continuazione ("Stupido babbeo di un lardoso ciccione", "Ciccionazzo quattrocchi", "Scimunito pancione e trippone!"), per evitare di essere rinchiuso nella Grande Casa dei Matti deve catturare uno Sgnuk. La situazione precipita, con esilaranti effetti comici, quando per prendere Yndig arrivano insieme auto della polizia e ambulanze del manicomio, e poliziotti e infermieri fanno a pugni per la precedenza. Si ride, a tratti con un retrogusto amaro per l'insipienza e lo squallore dei grandi. Con un lieto fine a contrappasso che vede i ripugnanti genitori "yndigitizzati", cioè diventati bassi, grassi, semiciechi e blesi.
Fernando Rotondo
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