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Gli scontri fra i ghiacci dell’Ortles e dell’Adamello, il sangue copioso versato sul Pasubio, i combattimenti cruenti sostenuti sull’Altopiano di Asiago, le imprese di guerra e alpinistiche sul monte Cauriol, gli incredibili assalti ai castelli rocciosi in Val Costeana fra il Castelletto e il Lagazuoi Piccolo, le epiche vicende su Monte Cristallo sono i teatri naturali in cui gli Alpini si dissanguarono, mai domi, con un eroismo di corpo di cui si sarebbero resi protagonisti anche nel secondo conflitto mondiale. Sulle alte cime, a cui già arrivare può considerarsi un’impresa, visto il gelo perenne e le tempeste che le battono, gli alpini osarono di più di quello che la logica avrebbe consentito, attaccando il nemico, combattendo corpo a corpo, immolandosi anche in attacchi senza probabilità di successo. Ma anche scendendo di quota opposero un muro agli austriaci della Strafexpedition e lasciarono la vita in quella Verdun italiana che è stato il monte Pasubio. Non furono le uniche truppe a combattere in quella Grande Guerra, perché va dato atto anche al coraggio delle fanterie e dei bersaglieri, ma loro, quelli con la penna sul berretto, erano diversi, erano fieri omogeneamente di costituire reparti specializzati, costituiti da gente che di montagne se ne intendeva, perché viveva da civile nelle valli alpine; non solo, perché lo spirito di corpo era tale che, salvo poche eccezioni, vigeva un cameratismo stretto al punto che la disciplina non prevedeva un rigido distacco fra la truppa e gli ufficiali, anche quelli di rango superiore, elemento catalizzatore sempre presente anche nelle epoche successive. Non sarebbe facile trovare nemmeno oggi un uomo Achille Papa, un generale idolatrato dai suoi soldati, teso sempre a limitare le perdite, a essere di esempio e se necessario di conforto, personaggio certo d’altri tempi, ma che ben seppe interpretare lo spirito che ha sempre animato il corpo degli Alpini.
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