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L’ultima opera del maestro Osamu Tezuka tratta di un intrigo finanziario-politico e di corruzione ambientato nell’America del Sud. Siamo nel 1982, in un mondo dove la concorrenza è spietata e feroce soprattutto in ambito aziendale. Una grande compagnia giapponese nomina Hitoshi Himoto nuovo direttore della sua filiale sudamericana. Da qui inizia un epopea ancora attuale ai giorni nostri, che scaverà nelle ambizioni e nella miserie dell'essere umano. Volumone autoconclusivo edito da Ikari che non può mancare nella collezione di ogni appassionato di manga.
Recensioni
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Dimmi, o Santa Luna
Le avventure in Sud America di 'Gringo', un thriller di Osamu Tezuka
Il 9 febbraio 1989 moriva a Tokyo Nobuyuki Wakaoji, un nome che vi dirà poco o nulla e che in effetti, prima di scrivere queste righe, non diceva niente neanche a me. In Giappone però, la sua vicenda occupò per mesi le prime pagine di giornali: Wakaoji era un uomo d'affari della compagnia Mitsui che nel 1986 venne rapito da un gruppo di guerriglieri filippini, che lo tennero in ostaggio per quattro mesi prima di rilasciarlo a fronte di un (si dice) riscatto milionario, forse pagato dalla Mitsui stessa.
Lo stesso 9 febbraio 1989 moriva a Tokyo anche Osamu Tezuka, e stavolta non c'è dubbio che si tratti di un nome familiare a chi legge queste pagine. La coincidenza, almeno stando alle parole di studiosi e appassionati, è che i destini del businessman rapito nelle Filippine e del “dio dei manga” furono per qualche tempo legati. Non solo perché morirono lo stesso giorno, ma perché è alla figura di Wakaoji che Tezuka si ispirò per la sua ultima fatica: Gringo. Che tra l'altro, al momento della morte del mangaka, restava ancora incompiuto.
Protagonista di Gringo è Hitoshi Himoto, dirigente della multinazionale Edo che viene spedito non nelle Filippine ma in un Sud America di fantasia. Dapprima lo troviamo nell'immaginaria Canivaria, dove – da autentico squalo senza scrupoli – pianifica per la Edo una serie di manovre spregiudicate come l'acquisto di alcuni terreni ricchi di minerali preziosi; ma la fortuna gli volta le spalle: il suo protettore ai piani alti dell'azienda si dimette, l'acquisto dei terreni va in fumo, e non bastasse viene addirittura sequestrato. A quel punto la Edo lo spedisce “alle frontiere della civiltà”: Santa Luna è un'altra piccola nazione latinoamericana dove infuria la guerra civile e dove corruzione, miseria e violenza sono la regola. Himoto proverà a farsi strada anche lì, complice l'aiuto dell'autista Onigasoto, un ex militante della sinistra giapponese che lo mette in contatto con la guerriglia locale: perché sì, anche Santa Luna nasconde ricchezze indicibili che Himoto aspira a sfruttare, non tanto per fare un favore alla Edo, quanto per vendicarsi del trattamento che l'azienda gli ha riservato.
Come tutte le opere mature di Tezuka, Gringo è una parabola dall'esplicito contenuto politico e (ehm...) socioculturale. L'ispirazione viene dal rapimento nelle Filippine del manager Mitsui, ma lo spunto di cronaca diventa l'occasione per un ragionamento a tutto tondo sul Giappone, il suo posto nel mondo, i pregiudizi che circondano i giapponesi negli anni (siamo alla fine degli 80, ricordiamolo) in cui in Occidente si sviluppa un'autentica nippo-fobia dovuta al crescente peso economico del Paese del Sol Levante.
Gringo è insomma un vero e proprio trattato sia sull'identità nipponica, sia sulla sua percezione all'estero: tanto per cominciare, il nome del protagonista significa letteralmente “Il giapponese”; come da cliché toyotista, Himoto non si limita a lavorare per un azienda, ma vi si immedesima al punto che le sorti della Edo diventano per lui una ragione di vita; il manager che va a sostituire a Canivaria, una volta perso il posto si suicida; lo yen macina punti sul dollaro, le aziende giapponesi dominano i mercati, e tutto questo si trasforma per Himoto in motivo di orgoglio ma anche di rivalsa, nonostante i metodi della stessa Edo siano eufemisticamente poco limpidi, nella peggior tradizione colonialista.
E poi c'è lo sguardo “da fuori”: Hitoshi Himoto è basso di statura perché si sa, agli occhi degli occidentali “tutti i giapponesi sono piccoli”; nonostante sia un dirigente di una multinazionale, non viene mai preso sul serio e si guadagna l'antipatico nomignolo di Tom Pulce; le compagnie giapponesi “oggi sono capaci, da sole, di comprare un decimo della superficie del globo”, ma nei loro confronti l'atteggiamento è di sospetto se non di vero e proprio disprezzo; è anche per questo che, fuori dal suo paese, Himoto sarà sempre “il gringo”, cioè “lo straniero”
Gringo non è il capolavoro di Tezuka e oltretutto, come ricordavo sopra, è un'opera rimasta incompiuta, ma resta un godibilissimo thriller d'avventura dal respiro classico. Tezuka non vivrà abbastanza per conoscere la crisi giapponese di inizi '90 e il “decennio perduto” che ne seguirà, ma è anche per questo che, riletto adesso, Gringo risulta interessante: spaccato di un'era in cui il “Japan bashing” era una prassi comune sulla stampa occidentale, in cui nello stesso Giappone ci si interrogava sul senso dei cambiamenti che avevano trasformato il paese in superpotenza economica, e ultima opera di un gigante del fumetto di qualsiasi era, luogo e provenienza.
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