È come se la corte di Napoli si fosse trasferita in Toscana. Dopo aver sistemato le cose per la fondazione della certosa S.Martino, il Duca e la Duchessa di Calabria, Carlo d'Angiò e Maria Valois, partono per Firenze nel 1326, col medico Capograsso di Salerno e Cecco d'Ascoli a negromante. Il figlio viceré di Roberto, fatto Signore della Città di Dante, già divisa fra guelfi bianchi e guelfi neri, dovrà vedersela con i ghibellini di Lucca, alleati di Catalani e Bavaro. In questo libro Carlo non è quello bistrattato dalla Cronica del Villani, ma il Signore che ripristina le feste e ridisegna la Signoria, allargando le cinque cerchie ai 90.000 fiorentini, alle 110 chiese e ai mille scolari, dove spuntano le Logge coi fanali a farla da padrone, trasformando i palazzi a corti private, e dove il vizio e il gioco dei cortigiani, fra scacchi e buzzeca, e quello delle donne in fiore, con le trecce bianco-gialle, hanno preso il sopravvento sulla difesa militare. E così, mentre i duchi danno festa a Palazzo, con pranzo coreografico e scene in cartapesta, la battaglia contro Lucca s'arena per l'alleanza con gli imperiali del Bavaro Re d'Italia, sceso in campo contro Papa di Avignone e Re di Napoli, e per la perdita dell'erede. Carlo è un Signore di pace, finito quasi per caso nella Congiura di Lucca, generale del Trecento in una città come Firenze che parla napoletano ovunque. Nell'epistolario di giugno compaiono i migranti del sud, il Capitano del Balzo alle prese con il vizio plebeo del gioco, le tasse di S.Lorenzo, le punizioni afflitte a Empoli, l'esenzione di S.Casciano, l'arciprete a Colle di Giotto, i debiti di Poggibonsi, lo Statuto per Castelfiorentino, il sale del Castello di Signa, i priori delle arti, le rocche di Latere e Galgani. C'è tutto il contado fiorentino: Contrada Spoleto, data ai mercanti; Prato, finita sotto i tassatori; Fichino, alle prese con l'ufficiale gabelliere. Ciò accade mentre gli armigeri catalani vanno a spasso per Valdarno e Signa, e certi fatti turbano Casa Rossi, Capraria e Porta S.Pietro. Ma il cuore di questo libro è rappresentato dalla Fiera delle Bestie, principale attrazione per i fiorentini, Bianchi e Neri, marrani e narcisi, trasformatasi in salotto di mercanti d'oro e di seta, dove sfilano le potenze del popolo e le due brigate d'amore, gialla e bianca, sfoggiando per otto giorni la «macchina del cielo» e gli «spiritelli». E' la storia della Festa di San Giovanni in tutta la sua bellezza, dalla nascita come mercato del bestiame al commercio dei preziosi, che si teneva nella vigilia del 23 giugno, seguito dai sollazzi del pomeriggio coi 16 gonfaloni delle contrade in schiera. Sembra di vederli, quei nobili, sulla «ringhiera» dei signori, mentre sfilano i carri di cera in onore di San Giovanni. Non sono di cartapesta ma si rincorrono in processione come ceri, nella Piazza della Signoria addobbata a stelle. E' qui che sfrecciano i paliotti, tassati a Pisa e alle altre Terre federate, e poi i borghesi, quelli con le vesti ricamate e foderate d'ermellino che solo a Firenze brillano fra i tendoni azzurri, come in cielo così in terra.
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