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Se Mario Praz e Georges Perec ci hanno insegnato a fare la storia "sentimentale" delle cose che si accumulano nelle nostre abitazioni, questo libro presenta una storia economica e culturale degli "oggetti". Fondata su accurati spogli di inventari e su una precisa delimitazione spazio-temporale, la ricerca disegna innanzitutto una tipologia dei beni utili (mobili, suppellettili, indumenti) e inutili (libri, quadri, "oggetti galanti") nella Roma seicentesca, con un occhio attento alla formazione del grande collezionismo e un prezioso apparato iconografico. In un'economia minacciata dalla scarsità di moneta, gli oggetti sono infatti beni di scambio, ovvero equivalenti di denaro. "Sottratti allo scambio", essi possono tuttavia essere accumulati, tesaurizzati e accuratamente inventariati: singoli o inseriti nella serie di una collezione, gli oggetti sono posseduti per essere dominati, sacrificando la loro utilità immediata per trasferirne il valore sul piano della magnificentia, ma anche per trasformarli in emblemi di "stratificazione sociale". Poiché sono proprio le "cose" preziose e inalienabili, raccolte nei palazzi aristocratici e nelle case borghesi, a identificare uno "stile di vita", o una passione per il "bello", che legano fra loro "individui addetti a mestieri diversi e dotati di diversi livelli di ricchezza". L'autrice giunge così a identificare una moderna figura di "consumatore", certo spiegabile in termini di mercato (in un quadro economico cinque-seicentesco meno depresso di quanto si pensi), ma soprattutto in termini di cultura e di "gusto". È un'interferenza fra criteri quantitativi e qualitativi che bene illustrano le pagine più originali del volume, dedicate al diverso rapporto delle donne con gli oggetti: "più legate all'utile" e "meno inclini a coltivare il gusto del superfluo", entro un'ideologia di rigorosa "perpetuazione della casa".
Rinaldo Rinaldi
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