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Ci sono alcune idee portanti della civiltà occidentale che ci appaiono del tutto ovvie e ‘naturali’. Ma, se le osserviamo da vicino e nel contesto delle altre civiltà, scopriamo che esse hanno addirittura un carattere eccezionale ed ‘eccentrico’. Due fra queste idee sono indicate dai termini individuo ed eguaglianza. Louis Dumont si è proposto, in questo libro del 1977, di mostrare appunto la peculiarità ‘occidentale’ di tali idee, il loro formarsi, le loro conseguenze. E ciò che qui leggeremo è solo una parte di un più ampio disegno, che comprende Homo hierarchicus (1966), l’opera sino a oggi più illuminante sul sistema indiano delle caste, e comprenderà in futuro un Homo aequalis, II.
Nel pensiero di Dumont la polarità gerarchia/eguaglianza ha dunque una funzione fondatrice. Dietro di essa se ne distingue un’altra: olismo/individualismo. Olistiche sono le società che valorizzano «innanzitutto l’ordine, e dunque la conformità di ogni elemento al suo ruolo nell’insieme». Individualistiche sono quelle altre società che «valorizzano innanzitutto l’essere umano individuale». Fra le società che conosciamo, una soverchiante maggioranza presenta i tratti dell’olismo, mentre la versione moderna dell’individualismo si presenta per certi versi come caso unico. Dati questi presupposti, molte vie si aprono all’interpretazione – e molte sorprese ci attendono. La prima riguarda il nostro rapporto con le cose. «Nella maggior parte delle società e in primo luogo nelle civiltà superiori o, come dirò più spesso, nelle società tradizionali, i rapporti fra gli uomini sono più importanti e hanno un valore più alto dei rapporti fra gli uomini e le cose. Questo primato è capovolto nel tipo moderno di società, dove invece i rapporti fra gli uomini sono subordinati a quelli fra gli uomini e le cose». Ora, poiché appunto il rapporto con le cose è un tratto decisivo nella forma che assume la società, Dumont ha fissato l’attenzione su quella disciplina dove esso diventa tematico: l’economia politica. E ci ha mostrato come l’emanciparsi della categoria dell’economico coincida con il sorgere e il trionfare dell’«ideologia moderna». Il suo approccio antropologico ci permette così di leggere in modo davvero nuovo i grandi classici del pensiero economico, da Locke a Mandeville, da Quesnay a Smith. E Marx stesso viene qui sottoposto a un’analisi che svela nelle giunture l’articolarsi del suo pensiero con quello dei suoi predecessori. Le conseguenze dell’interpretazione di Dumont sono di vasta portata: la più evidente sta nella sua capacità di costringerci a guardare noi stessi con altri occhi. Riusciremo così finalmente, per esempio, a percepire l’invalicabile differenza fra una società olistica e una società totalitaria. Ma non si incontrerà alcuna forzatura ‘ideologica’ in quest’opera sulla «ideologia moderna». Da grande antropologo quale è, fedele all’insegnamento di Mauss e al rigore dell’indagine scientifica, Dumont non vuole mai distaccarsi dalla precisione del dettaglio, dalla preoccupazione di far parlare i testi: «Più è ambiziosa la prospettiva, più deve essere meticolosa la cura del particolare, più umile l’artigiano».
scheda di Revelli, M., L'Indice 1984, n. 1
Ancora, per molti versi, un libro sulla crisi: crisi, in questo caso, dell'"ideologia moderna", di quella concezione del mondo fondata sull'emergere dell'economia come sfera autonoma e centrale, sull'individualismo e sull'eguaglianza. Dumont, autore di un'opera sulle caste in India ("Homo hierarchicus") e di uno studio sull'individualismo, abbandona ora "le acque relativamente tranquille di una branca specifica dell'antropologia sociale" per una complessa traversata interdisciplinare nei territori della filosofia politica e della storia del pensiero. Al centro del volume, infatti, sta un tema prettamente filosofico: l'individuazione del binomio individualismo/eguaglianza (ritenuti, a ragione, interdipendenti) come criterio distintivo delle società occidentali moderne rispetto a quelle tradizionali caratterizzate invece dal binomio olismo/gerarchia. Di qui egli procede alla ricostruzione del percorso che, partendo opportunamente dai "Due trattati sul governo" di Locke e passando per la "Favola delle api" di Mandeville e la teoria del valore di Smith (la "Genesi"), approda a Marx, giudicato espressione del "trionfo" dell'ideologia moderna. Le conclusioni sono, insieme, stimolanti e sconcertanti: se pare saggio l'invito a rovesciare l'approccio consueto, considerando il modello di sviluppo occidentale come un'eccentrica eccezione anziché come la regola, per altro verso l'esplicito appello a liberarsi (conoscendola) dell'ideologia moderna non dissipa i residui sospetti di una qualche nostalgia per il modello di società tradizionale.
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