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Si può dire che tutta la vita e l’opera di Louis Dumont ruotino attorno a questo libro. Indologo e antropologo illustre, oggi professore alla École Pratique des Hautes Études a Parigi, pubblicò nel 1966, e ampliò nel 1979, Homo hierarchicus, dopo decenni di studi. Al centro del libro è la nozione di casta, come ci appare nell’India: nozione su cui l’Occidente ha accumulato, per secoli, una impressionante quantità di equivoci. Ma non solo sull’India questo libro è rivelatore. Come poi in Homo aequalis, Dumont mira a opporre due modelli fondamentali di società, dal cui scontro e dalla cui interazione si sviluppano tutte le forme di convivenza. Da una parte le società olistiche (in genere quelle arcaiche, fondate sull’interdipendenza e sul rapporto uomo-uomo), dall’altra quelle individualistiche (molto più rare e recenti, fondate sul rapporto uomo-cosa). Homo hierarchicus rimane così un libro pressoché unico nel suo doppio aspetto di studio su una realtà particolare – qui l’India, illuminata dall’interno nelle articolazioni della sua concezione sociale – e di traccia di una teoria generale della società.
scheda di Comba, A., L'Indice 1992, n. 3
Forse ci si chiederà per quale motivo l 'editore Adelphi pubblica ora, dopo un quarto di secolo, la traduzione di un libro sulle caste indiane: la società in India non si è nel frattempo radicalmente trasformata? L'industria e l'informatica non hanno introdotto nuove professioni, diversi modi e ritmi di vita incompatibili con l'arcaica struttura castale? In realtà il problema di un velocissimo cambiamento della società indiana si poneva già al tempo in cui Dumont pubblicò per la prima volta questo voluminoso saggio. "La mentalità moderna crede nel cambiamento ed è prontissima ad esagerarne la portata", dice l'autore. Sarà tuttavia difficile capire fino a che punto i mutamenti hanno realmente alterato l'ordine delle caste, se prima non si perviene a un 'idea precisa dell'antico stato del sistema e non si riflette sui propri condizionamenti ideologici, sul linguaggio adoperato per esprimere la propria automatica condanna della casta come un'aberrazione. II libro è quindi essenzialmente un discorso sul metodo, "una sorta di esperimento" che investe innanzitutto il 'nostro' individualismo, la nostra concezione della società come un insieme di monadi indipendenti (descritti in una bellissima citazione da Tocqueville), per poter superare il maggiore ostacolo alla comprensione delle caste, il misconoscimento della gerarchia. Tale misconoscimento spesso deriva dal "supporre di primo acchito che l'importanza di idee, credenze e valori, in una parola dell'ideologia, è secondaria nella vita sociale e può spiegarsi con altri aspetti della società o ridursi ad essi". La gerarchia fra le caste indiane, secondo Dumont, non si spiega ricorrendo a fattori storici, economici e politici, ma si organizza come una struttura fondata sulla contrapposizione religiosa fra il puro e l 'impuro. L 'impurità permanente concerne le caste inferiori, la cui professione riguarda i momenti di passaggio, come la nascita e la morte. Ma l'applicazione di un principio come questo all'infinita varietà dei casi particolari non è sempre facile : le caste si dividono in sotto -caste la cui gerarchia è meno trasparente, e ciò che vale in una piccola parte di territorio può non valere altrove. Dumont conduce con grande acume la sua indagine sia nei testi della tradizione brahmanica e buddhista, sia sul campo, in diverse regioni indiane: il risultato è un ritratto della casta del tutto diverso da quello cui siamo abituati, finalmente un ritratto, non più una caricatura.
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