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bellissimo, l'ho preso in prestito ma credo lo andrò ad acquistare. come segnalato da altri è un libro da rileggere, anche solo una pagina. un solo appunto, simpatico..orengo ci giri la foto do goethe..:-)..è davvero una scoperta sensazionale..
Splendido pastiche letterario di Orengo, l'Italia,la Russia, l'esilio, i libri e tutto il resto... Da leggere e rileggere per approfondire poi la cultura di pietroburgo (se trovate il libro di lo gatto)
Per dimenticare la fregatura presa con Di viole e liquerizia
Recensioni
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"Gli amici dell'Einaudi mi hanno proposto di portarlo in prima persona, di usare il fastidioso io. Ho seguito il loro suggerimento, pensando che il cammino da fare fosse più importante di ogni obiezione e che, comunque, il desiderio di lettori amichevoli avesse una sua ragione, ma che, soprattutto, per loro e per me, si trattasse di avere a che fare, per lacrima o per convenienza, con una maschera letteraria, con una 'traduzione'". Così, in una Nota al testo chiara e ambigua, come il famoso sorriso di ragazza di Vincenzo Cardarelli, chiude il suo romanzo breve Nico Orengo; e fornisce al lettore almeno tre spie testuali di peso.
La prima, e per quanto lo riguarda, in certo modo la più sorprendente, è appunto l'uso dell'odioso pronome personale. Poche righe sopra, lo scrittore spiega come attiri, anche non volutamente, "una captatio benevolentiae difficilmente controllabile"; quando a lui è più consona "la distanza, la lacrima che si è asciugata, la commistione personale spenta, un discorso più rispettoso con il lettore". Precisazioni non superflue in un romanziere come Orengo, che con il suo lettore, chiunque esso sia, ha stabilito da tempo un patto di fiducia, con un appuntamento al romanzo rinnovato con precisione ogni ventiquattro mesi circa. Un altro elemento non del tutto consueto in Orengo, e qui ribadito un paio di volte, è quello del cammino. Questo libro, che parte da una ricerca in apparenza bislacca (quella della penna che Goethe avrebbe donato a Pukin), a testimonianza di un'ammirazione peraltro reciproca, racconta con un gusto per i dettagli invece familiare una serie di cammini e destini incrociati.
Intanto la scoperta di questa storia romanzesca in sé, che Orengo fa per caso. In viaggio a San Pietroburgo, e stanco di vedere i troppi capolavori dell'Ermitage, da cui "lo sguardo deviava ancora verso la Neva", lo scrittore e la moglie Chiara visitano la casa di Pukin. Guidato dall'amica russa Svetlana, Orengo guarda la biblioteca di oltre quattromila volumi, passeggiano sui "parquet incerati nella penombra di quel tempo sospeso", ma soprattutto è colpito da una guida che racconta la storia della penna con cui Goethe avrebbe scritto il Faust, poi in piccola parte tradotto da Pukin, cui il grande tedesco l'avrebbe donata. Svetlana, prima fra le molte guide che Nico Orengo sceglie per il suo viaggio, non ha altre notizie e da lì inizia la ricerca della già famosa penna. Che non si tratti solo di questo è chiarito dal capitolo successivo che, pur non numerato, è il terzo. Lo scrittore pone mente alle sue conoscenze pukiniane: il romanzo-saggio di Serena Vitale, la traduzione dell'Onegin di Giovanni Giudici, alcune fiabe. Una di queste, in versi, prova a raccontarla alla moglie Chiara, e con questa occupa quasi per intero il capitolo, fornendo una prima motivazione del cammino russo: quello della fiaba. Accanto a questa dimensione, ce n'è un'altra, non dichiarata ma altrettanto chiara: quella della traduzione. Lo scrittore torinese non conosce il russo, ma questo è il meno. Orengo traduce, in questo libro impensabile in gioventù, un mondo di persone e cose alle quali ha finora solo fatto cenno.
D'altro canto, e oltre il profilo familiare di parte della vicenda, qui sono dette anche le passioni di uno scrittore che sui sentimenti ha sempre e volutamente esercitato la misura. Per tutte, la rivoluzione decabrista, di cui è nostalgica Valentina Tallevič, nonna di Orengo e figlia di Iosif, ufficiale a Balaclava, "non distante dal quarto bastione scrive Orengo dove anche il futuro scrittore di Guerra e pace era in stato febbrile ma scriveva, cercava d'innamorarsi di un'infermiera ed esaltava il valore dei marinai russi". Iosif Tallevič s'ammala di febbri malariche e i medici gli consigliano, per la convalescenza, il Mediterraneo, che è per lui il Ponente ligure, cioè Sanremo. Come, in poche righe di romanzo, si passi dalla Crimea all'estremo occidente della Liguria, incontrando per via la nobiltà russa e uno fra i più grandi scrittori del Novecento è fra i segreti risolti di questo romanzo; e, se si può dire, l'intertestualità c'entra poco. Nico Orengo è scrittore di cultura visiva e letteraria molto ben dissimulata. Se qui decide di allegare in clausola addirittura una nota bibliografica lo fa da un lato per venire incontro alle molte curiosità suscitate in corso di lettura (chi è il Renzo Laurano poeta e viveur sanremese, omaggiato di un capitolo dei più briosi? Dove si trovano le poesie di Baratynskij?), in parte per giocare.
Che ci sia, come in altri suoi romanzi, un profilo appunto giocoso è svelato naturalmente in chiusura, perché la vicenda della penna forse donata ha pure contorni vagamente gialli. Alternando con sapienza di regista c'è anche cinema, in Hotel Angleterre; e musica, dagli inni nazionali a Mozart e Čajkovskij capitoli d'ambientazione russa a memorie e presenti liguri, Orengo spiega con finezza le motivazioni di questo romanzo: "La mia non era una curiosità da trovarobe, da feticista di oggetti appartenuti a uomini importanti. Era la ricerca di un dono, di un omaggio, di un'eredità poetica, di un sentimento, di una scintilla vitale". Con Hotel Angleterre ha finalmente scritto il suo romanzo decabrista, di moralità schiva ma non discutibile.
Giovanni Choukhadarian
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