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LUCISANO, PIETRO (A CURA DI), Alfabetizzazione e lettura in Italia e nel mondo, Tecnodid, 1994
DE MAURO, TULLIO, Idee per il governo. La scuola, Laterza, 1995
recensione di Colombo, A., L'Indice 1995, n.11
''Se mai si troverà una direzione politica capace di intendere e di volere che il tema della formazione sia un tema centrale di governo e sviluppo del paese, essa troverà già oggi nel mondo della scuola - pur mal messo com'è - le energie per intraprendere questa strada". In questa affermazione di De Mauro riassumerei il senso dell'apparizione del volumetto che apre una sezione dei "Saggi tascabili" Laterza intestata "Idee per il governo": il senso di una voglia di tornare a pensare in grande, di puntare su un progetto politico forte, di mobilitare energie. (Se questa è l'ambizione, ci si può chiedere se la formula editoriale - una relazione seguita da una serie di interventi - non sia al confronto un po' leggera).
Il libro offre un buon esempio dei due requisiti che sarebbero essenziali al successo di quella eventuale volontà politica: la progettualità e la competenza. Dicendo "progettualità", non sto pensando alla chimera di riforme generali e "organiche" con cui ci si è baloccati troppo a lungo, quasi che la complessità del sistema scolastico consentisse di governare il cambiamento con singoli interventi legislativi. È notevole che a dire che a una grande riforma "non ci pensa più nessuno", "perché si è dimostrato che non serve e che in Italia non è possibile" nel libro sia proprio Luciana Pecchioli, esponente del Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti, un'organizzazione che ha fatto e fa moltissimo per promuovere le energie migliori della scuola, ma che mi è parsa a volte impacciata da quel mito.
Progettualità non significa dunque scrivere monumentali progetti di legge, ma avere chiara una direzione di marcia, un quadro di obiettivi. De Mauro indica il traguardo della piena scolarità, dell'innalzamento dei livelli di istruzione in tutta la popolazione, compresa quella adulta il cui indice di scolarità media è ancora di 6,5 anni di istruzione a testa. E indica in dieci punti le "cose da fare per vincere il sottosviluppo culturale nazionale", delineando lucidamente un progetto di governo. (Su un solo punto avrei qualche perplessità: "innalzamento dell'obbligo dai 14 ai 16 anni almeno; vorrei suggerire che il problema non è obbligare, ma arricchire le opportunità formative, fare in modo che andare a scuola più a lungo convenga e sia gratificante; ma di questo mi è accaduto di parlare recensendo, sull'"Indice" di aprile 1995, "La scuola che non ho" di Giorgio Franchi e Tiziana Segantini, un libro che ha significativi punti di contatto con questo).
De Mauro argomenta la sua proposta con una ricca serie di dati sui livelli di scolarità, sull'analfabetismo persistente (ma non solo residuo, se ci riferiamo al concetto di "alfabetizzazione funzionale"), sulle scarse letture degli italiani. E ha efficaci botte polemiche sulla superficialità con cui guarda (o meglio non guarda) al problema la classe dirigente, universitari, giornalisti, politici, pervicace nel "credere che la parola scuola significhi 'liceo' e 'beghe di università'".
Fra i dati più significativi citati dall'autore sono quelli dell'indagine internazionale sulle competenze di lettura dei ragazzi delle scuole elementari e medie, la più recente ricerca promossa dall'Iea - International Association for the Evaluation of Educational Achievement - diretta in Italia dallo stesso De Mauro, da Aldo Visalberghi e da Maria Corda Costa e coordinata da Pietro Lucisano, che cura il volume, agile e densissimo, di presentazione dei risultati. Alcuni di questi dati hanno già circolato sulla stampa, come quelli che collocano la scuola elementare italiana al quinto posto in una graduatoria internazionale mentre la media precipita al diciottesimo; ancora, sono documentati gli squilibri regionali e la presenza di fasce di carenza grave e gravissima le cui percentuali - osserva Lucisano - coincidono coi tassi di ripetenza e di abbandono nella scuola dell'obbligo. Altri spunti di riflessione vengono dalle "variabili di sfondo" sulla realtà delle scuole e dei loro utenti e dalla loro correlazione con le prestazioni di lettura. Si conferma tra l'altro che il numero annuale di ore di scuola è in Italia il più alto del mondo (mi pare che un ministro tra i recenti affermasse il contrario); e si impara (contro un inveterato luogo comune) che la correlazione tra numero di alunni per classe e profitto è positiva: le classi più numerose danno risultati migliori, almeno fino alla soglia dei 25 alunni circa.
Queste e tante altre informazioni esemplificano quel bagaglio di competenze di cui un gruppo dirigente impegnato a raddrizzare la situazione scolastica dovrebbe essere attrezzato. E l'indagine, insieme alle altre dell'Iea, è il più valido documento di come dovrebbe operare quel sistema nazionale di valutazione degli esiti scolastici di cui quasi tutti gli interventi nel volumetto Laterza ribadiscono la necessità.
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