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recensione di Cavaglion, A., L'Indice 1996, n. 8
Questo libro è il frutto di un lavoro quasi decennale. Pochi studiosi non ebrei che s'occupano d'ebraismo hanno dimostrato la stessa costanza. In una serie di articoli preparatori Allegra ci aveva già dato prova della sua bravura a tenersi "in bilico" (donde il titolo) nella linea immaginaria della reclusione, da Primo Levi fissata in modo definitivo nel noto racconto sul cerchio e la bambina (Titanio, in "Il sistema periodico"). Forse lo storico deve, per capire, stare sull'orlo. A maggior ragione se lo stare sull'orlo è una prerogativa dei personaggi presi in esame.
Nel Settecento, quando i confini della segregazione non erano immaginari, ma reali, l'atteggiamento delle autorità nei confronti della minoranza ebraica era piuttosto vessatorio; ben più che altrove l'antisemitismo fungeva da strumento politico, sicché si può ben capire che, al riguardo, il Piemonte aveva poco da vantarsi in fatto di liberalità. Gli storici del Risorgimento faranno il possibile (e l'impossibile) per nascondere i ritardi, che solo in parte nell'Ottocento saranno colmati (e talora non lo saranno per niente).
Allegra studia, nel primo capitolo, le conversioni forzate, "il caso Moreno" in modo particolare: una bambina, Devora, nata nel 1708, sottratta a forza dal ghetto perché ammalata, battezzata in articulo mortis. Ci spiega Allegra che in caso di sopravvivenza al male - e questo fu il caso di Devora - il bambino battezzato doveva essere separato dalla famiglia, affinché non potesse essere ulteriormente contaminato dal contatto con gli infedeli, "fossero pure i suoi genitori".
Piccoli casi Serena Cruz, come avverte in una nota l'autore, rimandando al pamphlet di Natalia Ginzburg? Può darsi. Il libro è per specialisti, la lettura densa di dati e tabelle (una miniera per i linguisti sono le appendici sugli "oggetti" e sulla biblioteca del ghetto), ma la sensibilità etico-civile di Allegra costringe continuamente a spingerci oltre i limiti cronologici della sua ricerca. Sia qui per inciso notato che il libro offre molti materiali utili sulla regola del testis unus non probat, intorno alla quale da tempo dibattono gli studiosi del diritto e gli storici dell'età contemporanea di fronte alle istanze dei revisionisti negazionisti.
"Questo libro parla di ebrei", si legge nella premessa, "dei pochi che si provarono, o furono costretti, a uscire da un ghetto, e dei più che vi rimasero. Ci vogliono buoni motivi per scappare da una comunità chiusa, avvolgente e protettiva come quella del ghetto... Ma ci vogliono anche buoni motivi per rimanervi". Ciò premesso, l'autore ci offre una rassegna di casi di conversioni forzate. Viene in mente l'archetipo boccaccesco della prima giornata del Decameron, la novella di Abraam Giudeo che, veduta a Roma la malvagità dei chierici, "torna a Parigi e fassi cristiano". Storie di vittime innocenti, ma anche di avventurieri, di impostori, vicende picaresche di un ghetto che, finalmente, esce dalle raffigurazioni oleografiche, o di maniera, e riacquista lo spessore della verità.
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