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Frutto dell'incontro fra studiosi di storia moderna, filosofia, letteratura e scienza politica, il volume offre una guida all'Illuminismo utile a orientarsi in un dibattito che coinvolge non soltanto gli specialisti, ma anche il mondo del giornalismo, nonché le gerarchie vaticane. Esso vede contrapposti quanti, favorevoli alla condanna della chiesa cattolica, ritengono che la scissione tra fede e ragione operata dai Lumi sia responsabile di un esecrabile relativismo (inteso quale causa di una presunta crisi dei valori) e coloro che in quella scissione scorgono invece il fondamento della laicità occidentale, modello di riferimento in una fase come quella contemporanea, in cui il processo di secolarizzazione risulta drammaticamente interrotto.
Rispetto a questo dibattito, i curatori invitano a guardare all'Illuminismo liberandolo dalle semplificazioni ideologiche per portare alla luce la complessità del movimento. I venti contributi, proposti in ordine alfabetico, mirano infatti a restituire un "processo polifonico": sono dedicati a coppie di concetti opposti, proprio nell'intento di evidenziare le tensioni interne alla cultura philosophique in merito a problemi cruciali; problemi che, nei saggi più riusciti, sono affrontati intrecciando il livello dell'elaborazione teorica con quello dei profondi mutamenti politici, economici e sociali verificatisi nell'età dei Lumi. Se lo sfondo è europeo, la cronologia è di lungo periodo, dal secondo Seicento alla fine del Settecento, in base a una periodizzazione che affonda le radici nella "crisi della coscienza europea" (dal titolo dell'opera di Paul Hazard, Boivin, 1935; Einaudi, 1946), su cui si sofferma Giuseppe Ricuperati (Storia e presente) per analizzare più in generale il rapporto con il passato e il presente e far emergere il definitivo tramonto del culto per l'antichità.
Il filo conduttore del libro è chiaro: si tratta di un percorso volto a mostrare la molteplicità dei Lumi, ma anche i tratti comuni. Riguardo al primo aspetto, il movimento vide al suo interno diverse correnti e vivaci discussioni su vari temi. Jonathan Israel (Radicalismo e conservazione), in particolare, propone qui la sua tesi sulla modernità dell'Illuminismo radicale, egualitario e ateo, di matrice spinozista, contro l'Illuminismo newtoniano, conservatore sul piano politico, religioso e morale. In relazione alle modalità di intervento sul reale, la philosophie fu divisa fra tensione verso l'utopia e pragmatismo riformista (John Christian Laursen, Riforma e utopia). E il progressivo passaggio dal "pubblico" al "segreto", ricostruito attraverso la crisi degli apparati di censura libraria, fu l'esito non di una dura e compatta lotta a favore della libertà di stampa, bensì di una negoziazione continua dei limiti tra ciò che doveva restare segreto e ciò che poteva essere pubblicato (Edoardo Tortarolo, Pubblico e segreto).
Pure di fronte alla guerra, i philosophes non assunsero una posizione univoca: se la condanna di principio era comune, da Montesquieu a Kant, differenti sono i motivi che ne stavano alla base; non tutti, del resto, giunsero a soluzioni integralmente pacifiste, ché proprio in nome della pace e della difesa di diritti si poteva legittimare la guerra (Gabriella Silvestrini, Guerra e pace). Variegata appare la discussione illuminista anche sulla coppia Monarchia e repubblica, esaminata da Marco Platania, che sottolinea come essa non riguardasse le forme istituzionali, bensì le diverse proposte relative alle modalità di partecipazione al potere. Così, la cultura philosophique pose al centro dell'interesse il problema dell'educazione e dell'istruzione delle donne, ma fu ben lontana dall'esprimersi compatta a favore di un modello di parità, e non pochi mostrarono riserve in questa direzione (Elena Brambilla, Genere ed eguaglianza). Quanto alla dimensione economica, poi, il dibattito su Ricchezza e lusso, ripercorso da Antonella Alimento, divise piuttosto che unire il pensiero illuminista: accanto a uomini come Voltaire, per il quale "il superfluo [era] assolutamente necessario", e svolgeva una positiva funzione di civilizzazione dell'intera società, si collocava Rousseau, pronto a scorgere nel lusso l'emblema della disuguaglianza.
Alla base della riflessione illuminista si collocava certamente la ragione, facoltà con cui osservare criticamente la realtà. Essa, tuttavia, non era l'unico strumento di comprensione del mondo. Dall'analisi del complesso rapporto tra Scetticismo e certezza, offerta da Gianni Paganini, affiora la consapevolezza dei limiti della ragione umana, che non era affatto considerata infallibile, bensì acquisizione mai definitiva, da sottoporre a costante verifica. La cultura philosophique cercò anzi un equilibrio tra il coraggio della ragione e il realismo del senso comune, adatto anch'esso a svolgere un ruolo critico rispetto al principio di autorità (Chiara Giuntini, Ragione e senso comune).Alla ragione si affiancava poi, come via alla liberazione, l'esperienza sensibile (Eugenio Lecaldano, Sensazione e natura umana), mentre l'universo delle sensazioni coinvolgeva la sfera del corpo e quella della mente, aprendo la strada da un lato ai piaceri sessuali e dall'altro alla sensibilità del sentimento (Sébastien Charles, Corpo e mente).
Al di là delle divergenze, alcuni caratteri unitari emergono in modo nitido. Tra questi, l'attenzione al benessere pubblico e l'idea della possibilità del progresso umano e sociale. Lo dimostra il percorso che nell'età dei Lumi condusse dalla condanna dell'amor proprio, inteso come frutto di mero egoismo, alla sua riabilitazione a patto che esso coincidesse con l'interesse comune (Fabienne Brugère e Antony McKenna, Amor proprio e virtù sociale). E lo dimostra, per altro verso, il passaggio dalla concezione negativa della comunità dei selvaggi, che rinviava a una condizione preumana, a un'immagine positiva che la collocava nel quadro evolutivo delle società umane, viste come organizzazioni perfettibili (Rolando Minuti, Civile e selvaggio). Così, anche la dottrina illuminista dei diritti umani non appare univoca, ma è comunque alla base dello stato di diritto (Wolfgang Rother, Cittadinanza e diritti dell'uomo).
D'altra parte, essa sorse, intorno ai concetti di proprietà, libertà di coscienza e di religione, da una rielaborazione di teorie classiche capace di garantire una sempre maggiore autonomia all'individuo in una direzione secolarizzata (Antonio Trampus, Diritti e doveri dell'uomo). Ed è in tale direzione che il movimento sembra emergere nella sua compattezza. Certo, l'Illuminismo ebbe un'anima atea e una deista, diretta a salvaguardare la credenza in un'intelligenza creatrice, ma generale fu la spinta anticlericale (Gianluca Mori, Ateismo e religione naturale), mentre la società si sostituiva progressivamente a Dio, diventando protagonista cui attribuire la responsabilità del male (Barbara Carnevali, Società e riconoscimento). Come sottolinea Lorenzo Bianchi, Critica e libero pensiero contribuirono alla laicizzazione della cultura, in quanto strumenti applicati anche all'universo della fede, a partire da freethinkers come Toland, Tindal e Collins. Secolarizzazione e laicizzazione non significano però che l'Illuminismo sia stato tutto proteso a vivere appieno la felicità terrena: se esprimeva questo desiderio, negando il bisogno della salvezza ultraterrena, la questione fu oggetto di polemiche. Quello dei Lumi fu dunque il cammino percorso dall'individuo moderno: un "cammino verso la felicità costituito da paure, angosce, speranze, passioni" (Girolamo Imbruglia, Piacere e dolore). Patrizia Delpiano
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