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Il termine aveva precocemente subito in Italia un imprevisto incanaglimento semantico. Si era nel 1970. Subito dopo il voto che per la prima volta aveva dato vita ai consigli regionali era esplosa la rivolta di Reggio Calabria ben presto intercettata dai neofascisti. Sul Candido era allora comparso il 19 novembre contro il socialista Giacomo Mancini un articolo dal titolo folgorante: Si scrive leader si legge lader. L'espressione pur provenendo da settori impresentabili ebbe fortuna. Fu anche fatta propria da gruppi di estrema sinistra. E connotò la diffidenza anarcoide degli italiani nei confronti del capo. Una diffidenza presente anche in quelli che avevano nostalgia del Capo e che un nuovo Capo aspettavano.
Da allora molte cose sono cambiate. E Barisione con uno sguardo che si sofferma su diversi sistemi politici e non solo sul pur significativo panorama italiano individua e formalizza il mutamento. La rassicurante leaderizzazione della politica insieme alla televisione fattore formidabile di riduzione di una complessità difficilmente metabolizzabile è data del resto per scontata. Così come è data per scontata la differenza dei contesti e delle circostanze in cui un leader o una specifica forma di leadership personalizzante tendono ad emergere. è così l'analisi dell'immagine del leader che viene qui effettuata. Con al centro il going public ossia l'apparizione e in particolare l'apparizione televisiva. Si va dal ranch di Bush alla telegenia di Clinton e di Rutelli dalla forza tranquilla di Mitterrand al polimorfismo iconico e comunicativo di Berlusconi (l'uomo di Mediaset e della televisione commercialpolitica di Forza Italia dell'imprenditorialità aprioristicamente introiettata dell'iperattivismo ubiquo del frankensteinismo estetico che fa crescere i capelli e scomparire le rughe del Milan del barzellettismo parolacciaro della/e famiglia/e di Arcore e della Sardegna eternamente in cinemascope).
è però soprattutto sul piano tassonomico che si rivela interessante il libro di Barisione. Ci viene infatti fornita una galleria dei leader che precipita in dieci idealtipi performativi di successo. Si comincia con il Creso che esprime razionalità economica e capacità di far sognare. Si prosegue con il Vincente con tanto di effetto bandwagon. Vi è poi il Normale che varia da luogo a luogo e che può convivere a seconda dei contesti con la normalità di Cosa Nostra o del burqa. E il Manager popolare dove si esprime una domanda di efficienza l'Outsider controcanto del politico tradizionale e del burocrate di partito il Carismatico che si appiglia all'ascendente e all'appeal fascinatorio il Post-identitario che seduce con il pragmatismo (un po' ghe pensi mi e un po' problem solver) il Leader forte che rassicura quando l'emergenza sembra prevalere l'Everyday man specialista nello hand shaking (la stretta di mano) e infine il Genuino che piace perché Senza Immagine e perché sospeso tra l'antimoderno e il postmoderno. Nessuno di questi personaggi esiste però allo stato puro. Sullo sfondo vi è inoltre più l'immaginazione tipologico-letteraria che l'esprit de géometrie della scienza politica. Ma qui è in gioco non il leader ma appunto la sua immagine. E allora anche l'immaginazione può essere utile.
Bruno Bongiovanni
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