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Quando si affronta un regista come Kubrick, il cui fascino e la notorietà sono direttamente proporzionali alla mole di opere critiche scritte nell'arco di decenni, il rischio è sempre quello di ripetersi un po', non aggiungendo nulla di innovativo. De Bernardinis accetta la sfida e la vince optando per una trattazione molto ambiziosa, che opera su due livelli continuamente intrecciati. Da un lato tenta di cogliere la specificità del cinema kubrickiano a partire dalla centralità di alcune figure chiave che percorrono i suoi film, ovvero la porta, la stanza da bagno e il corridoio. Dall'altro lato si propone di riflettere sull'essenza stessa del cinema, nella sintesi tra ideazione, realizzazione e riproduzione e nel rapporto stratificato e complesso tra film e realtà, intesa sia nella sua oggettività fisica, apparentemente data, che nella sua significatività percettiva e soggettiva, continuamente cangiante.
In questa continua dialettica, la chiave di volta è rappresentata dal rapporto tra Kubrick e la fotografia, in senso stretto e figurato. È noto che il giovane Stanley, appena diciassettenne, divenne fotografo per "Look" e per quattro anni riprese gli aspetti della vita quotidiana di New York. Proprio a partire da un reportage sul pugile Walter Cartier realizzò nel 1949 il suo primo film, il cortometraggio Day of the Fight. Il periodo fotografico del regista è ben documentato dal libro Stanley Kubrick. Ladro di sguardi (a cura di Enrico Ghezzi ed Elisabetta Sgarbi, Bompiani, 1999) ed è interessante il collegamento tra quel testo, che propone fotografie ri-fotografate, e l'asserzione che Kubrick fece a Jack Nicholson sul set di Shining, da cui parte De Bernardinis nella sua analisi: "Fare un film non è fotografare la realtà, ma fotografare la fotografia della realtà".
Nella stratificazione tra i livelli di realtà e di rappresentazione, nel rapporto tra riproduzione e ripetitività della performance attoriale, nella precisione della scelta dei luoghi e delle soluzioni di messa in scena che ricorrono nei vari film, De Bernardinis identifica come luoghi topici dellÆopus kubrickiano la porta - intesa nell'accezione più ampia di soglia che può assumere anche altre forme fisiche quale ad esempio lo specchio -, la stanza da bagno, intesa come luogo del cambiamento, e il corridoio, ora passaggio che induce le trasformazioni della percezione ora segmento labirintico in cui ci si perde. Tutti e tre sono quindi luoghi dinamici, in cui si cristallizzano e si stratificano molteplici livelli di cambiamento: luoghi simbolici, pur nella loro fisicità, che permettono all'autore del saggio di intessere relazioni produttive non solo tra i sei film analizzati, da 2001: Odissea nello spazio in poi, ma anche tra Kubrick e altri autori del Novecento, da Kafka a Murnau, da Bergman a Benjamin, e tra le specificità del cinema rispetto ad altre arti visive e plastiche, dalla fotografia alla pittura all'architettura.
Complesso e impegnativo, ma stimolante, il volume è significativamente dedicato agli studenti che l'autore incontra nelle sedi universitarie in cui insegna, e propone un notevole rigore di ricerca e di studio, da cui traspare comunque la passione per Kubrick e per il cinema.
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