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Recensioni L'imperatore di Portugallia

L'imperatore di Portugallia di Selma Lagerlöf
Recensioni: 5/5

L'Imperatore di Portugallia è un romanzo sull'amore, la sua nostalgia, le sue proiezioni, la sua vera o apparente follia.

«E nello stesso istante capì cos'era stato a far battere il suo cuore. E non soltanto questo: cominciò anche a intuire cosa gli era mancato per tutta la vita. Perché chi non sente battere il cuore nel dolore o nella gioia non può di certo essere considerato un vero essere umano.»

Dal momento in cui la piccola Klara Gulla viene al mondo, il cuore del padre Jan comincia a battere e il miracolo di quel battito, di quella tardiva scoperta di un'emozione mai provata, della felicità e della sofferenza che ne sono le immancabili compagne, trasformerà tutta la sua vita, dandole valore e significato. L'amore diventa la lente attraverso la quale vede la realtà e, quando questa è troppo squallida e amara, la trasfigura. Se la sua Klara Gulla , partita a cercar fortuna, non scrive e non torna, non è, come dicono voci maligne, perché è andata a finir male: il mistero che la circonda non può che nascondere un destino troppo straordinario per essere rivelato. Lontano, in una mitica Portugallia, dove non esistono il male e la miseria, la figlia è diventata imperatrice. E Jan, il contadino di Skrolycka, nelle sperdute valli delle Askedalar, comincerà a vivere da imperatore, con la follia di chi, cieco all'apparenza delle cose, si fa veggente e, misurando con il metro dell'assoluto, varca i confini dell'umano per entrare nel meraviglioso.

COME COMINCIA
Per quanto vecchio diventasse, Jan Andersson di Skrolycka non poté mai stancarsi di raccontare di quel giorno in cui la sua bambina era venuta al mondo.
Era uscito presto quel mattino per andare a cercare la levatrice e altra gente che potesse aiutarlo; poi per tutto il resto della mattinata e per un buon tratto del pomeriggio era rimasto a sedere sul ceppo della legnaia, senza aver altro da fare che aspettare.
Fuori pioveva a dirotto; e non mancò di prendersi anche lui la sua parte di pioggia, benché si potesse dire che stava seduto al coperto. L'umidità filtrava dalle pareti e le gocce cadevano sopra di lui dal tetto sconnesso; sul più bello, il vento gli rovesciò addosso un intero scroscio attraverso l'apertura senza porta della legnaia.
"Chissà se qualcuno pensa che sono contento di vedermi arrivare questo bambino", brontolò Jan mentre se ne stava lì seduto; e diede un calcio a un legnetto secco, facendolo volare fuori nel cortile. "Perché è proprio la peggiore disgrazia che mi poteva capitare. Quando ci sposammo, Katrinna e io, fu perché ci eravamo stancati di fare la serva e il garzone a casa di Erik di Falla e volevamo dormire sotto un nostro tetto, ma non certo per avere bambini".

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