L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Altre offerte vendute e spedite dai nostri venditori
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
A otto anni di distanza dal primo libro mondadoriano, Il profitto domestico, siamo alla seconda tappa del grande progetto epico-lirico di Antonio Riccardi. L'esistenza di un progetto, che potremmo definire narrativo, è indubbia; tanto più che la struttura dei libri di Riccardi è non solo portante e pienamente esposta, ma preordinata in una misura quasi inquietante, secondo una parossistica volontà di controllo.
Sia beninteso: chi cercasse il pacifico dipanarsi di una trama, magari monodica e rassicurante come in certi esiti della narrativa contemporanea, dovrà cambiare autore. Perché per ottenere il controllo totale la mente di Riccardi deve limitare il campo, o almeno frazionarlo in episodi significativi, dei quali l'autore tenta di estrapolare gli elementi essenziali, nessuno escluso. Il clima instaurato da questo assetto catalogante è molto simile a quello che trovano i visitatori di un museo di storia naturale vecchio stile: "Nel diorama non c'è né prima né dopo / ma solo il culmine delle vite esemplari / di certe piante, di certi animali".
Il profitto domestico era centrato su episodi e capitoli della vita familiare di più generazioni, dall'Ottocento alla prima guerra mondiale. L'antenato Odet Riccardi, amico del grande esploratore Bottego, resta a casa per dovere. Un dovere che genera un misterioso profitto e che nell'avvicendarsi delle generazioni dovrà fare i conti con l'impulso contrario, assumendolo senza rinnegarsi: l'imperativo di entrare nel mondo della storia, di assumersi le proprie responsabilità anche in seno alla società e alla classe di appartenenza, una borghesia sana, operosa e non meschina.
In entrambe le tappe editoriali della saga di Riccardi i primogeniti della famiglia obbediscono dolorosamente all'imperativo che riserva loro un posto nella storia e nella professione, allontanandoli (fisicamente o idealmente) dall'alveo familiare e soprattutto dal luogo dove tutto deve continuare a far riferimento, e cioè il podere di Cattabiano, nell'Appennino parmense. Tutti devono riuscire a conciliare in sé le istanze dei due doveri: la fedeltà alla gestione e agli affetti familiari, e la responsabilità sociale.
Proprio attraverso il trasferimento di un primogenito, il padre dell'autore, da Cattabiano a Sesto San Giovanni, luogo di industria, di progresso e di lotte sociali, nel nuovo libro prevale la Storia. Riccardi affronta qui un problema importante dell'autocoscienza borghese, e cioè il trapasso da una cultura preindustriale a una industriale, e il successivo disincanto in un sistema di produzione quasi totalmente automatizzato, con relativa decadenza di tutto un sistema sociale. È la storia perduta della civiltà delle macchine, nella quale padroni e operai condividevano un sapere, una lingua, e soprattutto un mito, quello del progresso.
Ma le magnifiche sorti dell'umanità sono vissute come dall'interno di uno stato di famiglia. Se la sirena delle acciaierie di Sesto chiama le masse operaie al sacrificio e al dovere (parole chiave di Riccardi), anche il padre - medico radiologo - è preda dello stesso ingranaggio e andrà incontro alla sua morte bianca, per malattia professionale. "Così è la trasparenza del bene: / come in natura Dio, / nel codice dell'industria / il capitale formula il suo dominio privato / come un legislatore". È qui che la condizione operaia si proietta in condizione umana senza tempo. Su tutto c'è il senso ineluttabile di un agire collettivo dominato da una sorta di super-io comunitario che impone ai membri dell'organismo sociale la produzione. "Ogni comparto è un corpo che produce / la trama degli adempimenti", "l'intero di una sola verità / e armi da guerra in serie".
Dovere e guerra. Materia che si forgia e si trasforma... Pur sapendo che non è possibile, Riccardi vuole dare ragione di tutto: di qui il procedere ellittico, allusivo, a singhiozzo, del senso in questo libro. Dove paradossalmente è l'ansia di razionalizzazione a generare il pathos, in espressioni lapidarie, apodittiche, tutte fatte di sostantivi, che ci investono come una doccia fredda e immediatamente sublimano candidandosi quasi ad archetipi del pensiero morale (ad esempio: "Ogni fortuna è una forma / e dopo una memoria che non finisce"). È un pathos di sapore intellettuale ma tutt'altro che astratto, biograficamente e quasi biologicamente fondato, fatto di acquisizioni certe in cui traspare la fatica di un percorso, di un pensiero che per onestà si rifiuta di affidarsi a dei correlativi oggettivi e si espone nudo e crudo.
Ma Riccardi resta sempre al di qua del vaticinio. Se nel suo libro c'è un fondo inesplorato cui continuamente si allude, questo accade perché tutto è sempre in potenza e vale perché in potenza: non c'è felicità terrena, e se c'è consiste nell'attesa e nell'obbedienza agli imperativi morali della specie: "In grazia di un luogo conosco / come Dio non ha grammatica / e forgia solo primi nomi: / dovere, sacrificio, verità". Nella poesia di Riccardi la scena si offre sempre prima o poco prima di qualche evento fondamentale. Tutto sta sempre per accadere, è per essere: "Vedo il padre di mio padre poco prima / dell'assalto, prima che il mondo / si cambi per tutti in un solo dovere".
E dovremmo prestare un'attenzione non superficiale al gioco che continuamente accosta (alludendo a un'identità?) due parole chiave: il prima di temporale - cioè lo stare per essere - e l'essere primi o primogeniti, con tutta l'eredità morale e la responsabilità che questo statuto comporta: "Da solo entrerò nel bosco di Cattabiano / per vedere la prima pianta del mondo / che passa da un figlio a un figlio a un altro figlio / da un primo, poco prima della nostra fortuna". È chiaro che in questa prospettiva siamo tutti primogeniti in attesa di una redenzione (o di una catastrofe). Tra questi due poli vicinissimi si apre uno spazio tanto limitato quanto vertiginoso, che è lo spazio della poesia di Riccardi e lo spazio della nostra responsabilità nel mondo. Tra questo prima di e questo essere i primi sta il segreto che questo libro, appassionatamente, tenta di parteciparci, ma in che modo?
Riccardi condivide l'ossessione novecentesca a castigare il lirismo, e certamente fa tesoro di alcune esperienze fondanti in questo senso - l'oggettivazione in personaggi e lo sviluppo narrativo di Pagliarani; il primato della descrizione in Bertolucci o, mettiamo, in Giampiero Neri; gli abbassamenti di tono sereniani - ma non ha l'affabilità dei suoi autori. Egli infatti non rinuncia a due degli strumenti tipici della lirica: ellissi e condensazione, ma fa sì che questi, invece di produrre delle belle immagini parasurrealiste, lavorino al raffreddamento del dettato. In questo senso parlano chiaro la sporadicità degli aggettivi e soprattutto la predilezione per andamenti ritmici poco fluidi, primo fra tutti quello - raro nel Novecento appunto perché ostico - con accenti sulla seconda, quinta e settima sillaba del verso, qualunque ne sia la misura: "A lùngo ho sentìto sòlo sentito", "Negli hàngar di Brèda e Fàlk", "ma sèmi di quàrzo e argìlla in proporzione". Un passo che impone il rallentamento dell'elocuzione e che non rimanda ad alcun modello novecentesco forte. Di qui un effetto di fatica e di ipercontrollo, come in un'autoriflessività ieratica. E di qui quel senso di necessità nel timbro degli enunciati che basta e avanza a collocare l'autore tra i pochi poeti veri di questi anni.
Perché l'inconfondibile piglio asettico di Riccardi, la sua tanto tipica quanto solo apparente lontananza, non si risolve in un senso di aridità o apatia spirituale, ma ha il potere di tradursi o meglio trascendersi, come in una "caverna alchemica", in afflato metafisico, in silenzio religioso. La grande scommessa di Riccardi e di tutta una generazione di poeti, di uscire dal soggettivismo lirico e dalle pastoie della psicologia senza perdere il senso di un fondamentale umanesimo, è insomma vinta grazie a una di quelle capriole che solo la poesia può attuare. La storia si tramuta in oro, o meglio impara a mostrare il suo oro.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
Le schede prodotto sono aggiornate in conformità al Regolamento UE 988/2023. Laddove ci fossero taluni dati non disponibili per ragioni indipendenti da IBS, vi informiamo che stiamo compiendo ogni ragionevole sforzo per inserirli. Vi invitiamo a controllare periodicamente il sito www.ibs.it per eventuali novità e aggiornamenti.
Per le vendite di prodotti da terze parti, ciascun venditore si assume la piena e diretta responsabilità per la commercializzazione del prodotto e per la sua conformità al Regolamento UE 988/2023, nonché alle normative nazionali ed europee vigenti.
Per informazioni sulla sicurezza dei prodotti, contattare productsafetyibs@feltrinelli.it
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore