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Impresa, concorrenza e organizzazione. Lezioni di economia e politica industriale
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1989
1 novembre 1989
Libro universitario
632 p., ill.
9788843010721

Voce della critica


recensione di Biggiero, L., L'Indice 1990, n. 3

Il campo dell'economia industriale e quello delle teorie che in varia maniera riguardano lo studio delle imprese, della concorrenza e dell'organizzazione è senz'altro uno dei più vivaci e prolifici di posizioni. Allo studioso di queste tematiche certamente non sfugge la crescente e cospicua produzione di manuali, ma anche la grande proliferazione, ben più difficile da fronteggiare, delle teorie che, spesso in competizione e con logiche e conclusioni diverse, nascono e si agitano in tale universo. Per dirla con Kuhn, si è in piena fase "rivoluzionaria ", le cui conseguenze e ripercussioni su uno dei due principali "ceppi generatori" di tali teorie, l'economia neoclassica, sono difficili da prevedere e probabilmente (si spera) ancora più difficili da arginare. L'altro filone, quello che proviene dalle teorie di origine sociologica o aziendale, è altrettanto in fermento ma, non avendo mai aspirato troppo ad obiettivi di ampia generalizzazione e di rigore teorico come l'altro, teme di meno la "frantumazione disciplinare" ovvero è abituato a conviverci.
Maggiore merito, dunque, al manuale di Michele Grillo e Francesco Silva, che tenta appunto di mettere ordine nel campo così affollato e travagliato dell'economia industriale, visto sia dal lato della teoria del mercato che da quello, della teoria dell'impresa. Il libro costituisce, infatti, un'opera davvero rilevante sia per la vastità che per la completezza e l'approfondimento dei temi: affrontati, nonché per l'elevato livello di formalizzazione matematica, usato laddove l'argomento lo consente. In esso, oltre a reinterpretare lo sviluppo storico dell'economia industriale - 'industrial organization' in USA e 'industrial economics' in Gran Bretagna, come correttamente segnalano gli autori - alla luce delle posizioni più recenti, si concede ampio spazio a queste, nella forma del contrattualismo ed in particolare della teoria dei costi di transazione (Williamson), della teoria dello spazio delle caratteristiche (Lancaster), dell'asimmetria informativa (Arrow), della teoria evolutiva (Nelson & Winter), ecc.
Questo lavoro non costituisce pertanto semplicemente un ottimo e completo manuale dove poter trovare le solite curve dei costi, ma anche una interessante rilettura dei vecchi contributi. In sostanza si propone come una delle esposizioni più avanzate ed innovative possibili, che la disciplina dell'economia industriale può oggi sopportare prima di spingersi più in là e rischiare di frantumarsi cercando la sua identità su basi radicalmente nuove. Se mi si passa la metafora, è come un'opera di stile wagneriano prima della definitiva rottura delle dissonanze.
Nelle pagine introduttive si trova un'attenzione, piuttosto rara nei manuali di questo genere, alla esplicitazione delle ipotesi e delle definizioni di base. E proprio a queste che ci si vuole rivolgere, con l'ansia e la speranza di vedere un giorno anch'esse rimesse in discussione. In particolare, ci sembra importante rivolgere l'attenzione almeno ad alcuni temi che, pur alla base di quella che, come Grillo e Silva esprimono chiaramente, finora è stata l'economia industriale, devono ancora essere sottoposti a dure critiche.
La prima di queste critiche va rivolta alla scelta del riduzionismo e del "continuiamo": cioè dell'individualismo metodologico (una forma di riduzionismo) come ipotesi teorica fondamentale, e di quell'altra supposizione, ad essa indissolubilmente legata, secondo cui, utilizzando gli stessi concetti per sommatoria quantitativa e poche ipotesi ausiliarie, a partire dalla microeconomia, e risalendo per la teoria dell'impresa, si possa arrivare ad una teoria del mercato ed alla macroeconomia. In sostanza, che si possa lavorare alla costruzione di un corpus teorico unico, generalizzante e senza soluzione di continuità. La forza persuasiva della teoria dei sistemi non consente di mantenere con tranquillità queste ipotesi; e il concetto di organizzazione del contrattualismo - nelle sue varie forme più o meno transazionali - non è, coerentemente con la matrice neoclassica, di tipo sistemico bensì di tipo riduzionistico, tanto che sarebbe forse meglio abituarsi a distinguere l'uso che ne fa l'economia con il termine di aggregazione rispetto a quello che ne fa la tradizione delle teorie organizzative (di matrice sociologica, aziendalistica o biologica) con il termine, appunto, di organizzazione.
Il secondo tema riguarda l'annosa questione della razionalità, nel senso che non è sufficiente accogliere l'invito simoniaco per l'idea della limitatezza della razionalità, ma bisogna proseguire oltre verso l'idea della plurirazionalità, cioè della compresenza non solo di una razionalità limitata ma anche di più forme in cui essa si può esprimere, in relazione all'operare della funzione dell'apprendimento e della concezione delle imprese come sistemi cognitivi che possono quindi interpretare i segnali del mercato in modi molto diversi. Ma, anche in questo caso, diversi non solo in virtù della quantità e distribuzione delle informazioni disponibili, bensì del modo stesso in cui identiche informazioni possono essere decodificate e percepite dal sistema-impresa.
Il terzo punto riguarda proprio la nozione centrale di efficienza, che, come giustamente sottolineano gli autori, è oggi alla base dell'economia e che in particolare nell'economia industriale si traduce nell'intento normativo di definire le migliori (ottime?) configurazioni di mercato, e quindi di prescrivere le necessarie manovre di politica industriale. Ma il fatto è che un tale concetto di efficienza sta in piedi soltanto se reggono le ipotesi di cui ai due punti precedenti, perché altrimenti, una volta abbandonate le idee di razionalità unica, individualismo metodologico e esistenza di un equilibrio economico generale, come sarebbe possibile misurare l'efficienza, cioè come sarebbe possibile ricostruire, anche solo idealmente, un mondo efficiente da contrapporre ad un mondo reale per misurarne la differenza, lo scarto? Al di fuori della logica monorazionale ed in presenza della funzione dell'apprendimento e della percezione/interpretazione delle informazioni risulterebbe, infatti, impossibile "azzerare i contatori" e costruire un mondo ideale di efficienza. Si dovrebbe abbandonare l'idea di efficienza ed accontentarsi (ahimé) dell'idea di efficacia ovvero, il che è poi la stessa cosa, di un concetto di efficienza localmente e temporalmente limitata.

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