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scheda di Martini, F., L'Indice 1992, n. 6
Il tema di "che cosa" produrre e "come" produrre non è oggi molto popolare, se non considerato addirittura sgradevole. Naturalmente ciò non significa che non si tratti di una questione cruciale per lo sviluppo umano e per la vita della collettività. Morundi ha il grosso merito di parlare nel suo libro proprio di queste cose: del rapporto fra produzione e scelte di vita, fra lavoro e partecipazione politica, fra economia e democrazia. Lo fa con una decisa opzione antimercantile, convinto che l'interazione tra domanda e offerta non sia il modo definitivo di organizzare l'attività economica, n‚ il più augurabile per chi ritiene che aspetti tanto importanti debbano riguardare la decisione cosciente di tutto il corpo sociale. L'argomentazione si sviluppa partendo dalle priorità da contrapporre alla logica dell'impresa e del mercato (una scelta globale a favore dei bisogni essenziali); considerando le implicazioni che ne deriverebbero per l'attuale organizzazione del lavoro, per l'industria di stato e per la politica estera; indicando infine i limiti che per tale prospettiva rappresenta il modello delegato e individualistico di democrazia, caratterizzato da quel che Morandi chiama l'artificioso sdoppiamento fra l'astratto cittadino e l'uomo reale. I temi trattati lungo questo percorso sono davvero tanti e di estremo interesse, ma non è possibile qui menzionarli. Quel che importa rilevare è la complessiva messa in discussione della separazione fra politica ed economia in sfere autonome, rette ciascuna da criteri propri di razionalità, quale viene proposta dalla tradizione di pensiero liberaldemocratico, rispetto alla quale l'autore ritiene la cultura marxista (nella quale si riconosce) e quella cattolica più adatte a cogliere gli stretti intrecci che uniscono nelle società moderne la vita di ciascuno a quella di tutti gli altri e a indicare le vie di una possibile ricostituzione del legame sociale al di là e contro i meccanismi del mercato; in secondo luogo la dimostrazione di come l'estendersi di tali meccanismi su scala planetaria e l'eccessiva divisione internazionale del lavoro che ne deriva ostacolino il perseguimento da parte dei paesi del terzo mondo di uno sviluppo autocentrato fondato sulla soddisfazione dei bisogni essenziali delle popolazioni.
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