Indice
Le prime pagine del libro
Nel luglio 2015 mio padre e io siamo usciti, cosa rara, a fare due passi attorno all’abitazione dei miei genitori a Praga. Era dal 1970 che vivevano in Germania, ma da una decina d’anni tornavano spesso in quella loro seconda casa. A mia madre sta bene sia un posto che l’altro, ma mio padre è chiaramente piú felice qui, in questa città che ha amato fin dall’adolescenza.
Adesso camminare gli costa molta fatica. Ha un dolore cronico alla schiena cosí serio da consentirgli di fare solo pochi passi alla volta, appoggiandosi al bastone. Quando il mal di schiena non lo tormenta, ha un’aria ancora giovanile, elegante e piena di vita. Ma quando il dolore ha il sopravvento, dimostra tutti i suoi anni – ottantaquattro – e deve fermarsi per riprendere il fiato e le forze. E puntualmente ci riesce.
Ad Amburgo mio padre passa la maggior parte del tempo in casa, a sonnecchiare davanti alla tv. A Praga invece trova ogni giorno dei pretesti per sbrigare qualche piccola commissione, per andare a vedere qualche posto, o per far visita a qualcuno. In questa città mio padre sembra avere parecchi anni di meno.
Quel giorno, la vigilia del mio ritorno a Londra, ha esclamato: – Andiamo a comprare quei cucchiaini. So io dove –. E mi ha ricordato che, parecchio tempo prima, avevo detto che mi servivano dei cucchiaini da tè.
Ci siamo incamminati molto lentamente lungo vie acciottolate, attraversando strade piene di traffico. Abbiamo preso un autobus, poi un tram. A un certo punto, non lontano dalla nostra meta, mio padre ha detto che aveva bisogno di una pausa, cosí ci siamo fermati in un caffè all’aperto.
– Ehi, – ha detto, puntando un dito verso l’alto. – Ecco la casa.
– Quale casa?
– Quella in cui vivevo col mio fratello maggiore e sua moglie quando sono arrivato qui da Mosca.
Ovviamente sapevo che mio padre era arrivato a Praga adolescente nel 1947 – il suo ceco ha ancora una leggera traccia di accento russo – ma in tutti gli anni in cui ci abbiamo vissuto, è lí che sono cresciuta, e anche dopo, nelle nostre frequenti visite, mio padre non aveva mai fatto cenno alla sua prima residenza praghese. Del passato parlava sempre come se la sua storia in quella città fosse cominciata il giorno in cui aveva sposato mia madre. Ma adesso tutto a un tratto mio padre si confidava.
– Guarda, – ha detto indicando un edificio dall’altra parte della strada. – È là che compravamo la carne. E vedi quell’angolo? Lí c’era la bottega di un bravissimo sarto. Il giorno dopo il mio arrivo a Praga, Grisha mi portò da lui e mi comprò due vestiti perché non avevo niente da mettermi.
Si è guardato intorno, il traffico, i tram, la gente… soppesando ogni cosa, poi ha detto: – Non è molto diverso da allora, sai? Come vidi questa strada, m’innamorai di Praga. Era la prima volta in vita mia che vedevo la civiltà. In Russia non avevamo nemmeno il gabinetto in casa.
All’improvviso ha chiamato il cameriere e gli ha detto di portare subito il conto. – Su, andiamo. Voglio farti vedere l’appartamento in cui vivevamo. È giusto qui all’angolo.
L’abbiamo raggiunto piano piano. Era un edificio art déco molto bello e in buone condizioni. Una giovane donna è uscita dal portone proprio mentre arrivavamo noi e mio padre si è infilato dentro come se avesse tutto il diritto di entrare. Poi si è fermato davanti all’ascensore, esitando.
– Non sono sicuro di che piano fosse, – ha detto, palesemente seccato con se stesso. – Credo… il quarto. No, il quinto. Sí, era il quinto –. Uscendo dall’ascensore al quinto piano, ha sorriso tutto felice: – Là, l’ultima porta. Vedi? Quella era casa nostra.
– E adesso cosa vuoi fare? – gli ho chiesto.
– Mi pare ovvio, suono e dico che un tempo abitavo qui, o no?
– Ok.
Quell’uomo anziano, che era mio padre, ha raccolto tutte le sue energie e con gli occhi che davvero gli brillavano si è avvicinato alla porta di gente sconosciuta e ha suonato il campanello. Gli ho fatto una foto mentre se ne stava lí, leggermente curvo ma sempre animato dal suo forte carattere. Aveva un’aria solenne, eccitata, ma anche un po’ triste. O forse la tristezza era solo mia.
Nessuna risposta. Ha suonato di nuovo.
Niente.
Era deluso. – Ci tenevo a mostrarti un pezzetto della mia giovinezza. Be’, pazienza. Andiamo a comprare quei cucchiaini.
La porta dell’ascensore era ancora aperta. Mentre scendevamo gli ho chiesto com’era l’appartamento. E com’era Praga nel 1947?
– Sttt! – ha detto con tono brusco. – Lo sai che non mi va di parlare di queste cose.