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In difesa del welfare State
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1 novembre 1992
Libro universitario
160 p., Brossura
9788820476878

Voce della critica

REY, GUIDO M. / ROMAGNOLI, G. CESARE, In difesa del Welfare State

FERRERA, MAURIZIO (A CURA DI), Stato sociale e mercato mondiale
recensione di Pennacchi, L., L'Indice 1994, n. 6

In tutto l'Occidente sviluppato i welfare states, quando non sono afflitti da vere e proprie crisi, sono sollecitati a profonde trasformazioni. Da tale semplice constatazione si dipartono tre ordini di interrogativi: quale è il fattore, o gruppo di fattori, maggiormente sollecitante tali trasformazioni? Le trasformazioni spingono o no i singoli welfare verso una maggiore convergenza? Se si, in quale direzione?
Molti dei saggi (fra cui quello di Jessop) raccolti in "Stato sociale e mercato mondiale" tendono a suggerire, fin dal titolo del libro, che i welfare states sono indotti a murare soprattutto in conseguenza dei fenomeni di "globalizzazione" e cioè fenomeni di crescente interdipendenza delle economie e dei mercati dovuti all'elevata internazionalizzazione dei flussi commerciali, industriali e finanziari, alla rilocalizzazione su scala planetaria di processi maggiormente flessibili e di consumi più differenziati, allo sviluppo e alla diffusione di nuove tecnologie, ecc.
Tuttavia, anche così articolato, il termine globalizzazione mantiene un elevato grado di indeterminatezza, specie per ciò che riguarda l'aspetto al quale per parte mia attribuisco la maggiore importanza nella trasformazione dei welfare states tradizionali, vale a dire la difficile transizione in atto veri so un'economia e una società postindustriale, nella quale la crisi dei modelli di produzione "fordisti" si associa alle difficoltà di sistemi di protezione sociale altrettanto "fordisti".
Inoltre, le categorie della globalizzazione non sono in grado di chiarire la sorte che spetterà allo "stato-nazione", considerato "vivo e vegeto" in toni certo troppo ottimistici da Wilensky, eppure sottoposto a vari paradossi che potrebbero promuoverne la sopravvivenza, per esempio la necessità di rivitalizzarsi - entrando nella mischia con gli altri stati-nazione per sostenere le proprie imprese multinazionali - esattamente nel momento in cui è costretto a cedere frazioni di sovranità sulla propria economia.
E con ciò siamo già nell'ambito del secondo ordine di interrogativi, relativo alla misura in cui sia in atto, specie nei paesi europei, un processo di convergenza fra welfare states con caratteri marcatamente nazionali e, dunque, con differenziazioni e specificità che analisi recenti tendono a evidenziare anche per realtà per cui in passato si erano, viceversa, radicate immagini di similarità (per esempio fra Norvegia e Svezia). D'altro canto, i welfare states non si sono solo innervati su precedenti realtà nazionali assai diversificate, sono anche stati il fattore di maggiore differenziazione tra i vari capitalismi. L'ipotesi, dunque, che si può formulare dovrebbe sottrarsi alla riproposizione della dicotomia convergenza-divergenza e verificare in che misura sia in atto una dinamica evolutiva che trae le sue risorse proprio dalla sua polimorfia e varietà di assetti.
Ma se dobbiamo continuare a sperare nella riproduzione di "quella combinazione unica di straordinarie diversità e di radici culturali comuni" (Pfaller) alla base dell'identità europea, non c'è dubbio che un processo di convergenza è oggi in atto, in larga misura imposto dai fatti e in particolare dalle dinamiche dell'integrazione economica. Va quindi esplorato il terzo ordine di interrogativi, a partire dalla possibilità che l'omogeneizzazione avvenga "verso l'alto" piuttosto che "verso il basso" (come oggi sta accadendo), per arrivare a chiedersi verso quale modello ci si stia uniformando e in particolare se tale processo - come ritengono, tra gli autori di questo libro, Ferrera e Kuhnle - ci stia conducendo verso la prevalenza di un modello bismarckiano, di stampo continentale-germanico, cioè verso un welfare state frammentato, collegato all'occupazione e alla posizione sul mercato del lavoro, commisurato ai redditi, finanziato mediante premi versati dai singoli piuttosto che attraverso l'imposizione generale. Quale che sia la desiderabilità di questo modello (nella mia opinione piuttosto bassa), in realtà la transizione in atto verso un'economia e una società postindustriale (con il suo corredo di industrie e attività in drammatico declino di altre in rapido sviluppo e dunque con esigenze di flessibilità, riqualificazione e mobilità della forza-lavoro) indurrebbe a pensare che un modello che ridefinisca l'universalismo, coniugandolo con la selettività, potrebbe rivelarsi assai più adeguato di un modello "occupazionale-categoriale", per definizione particolaristico. È tutto da discutere, infatti, se in un'epoca in cui per un verso si manifestano nuovi bisogni, in forme sempre più personalizzate, e per un altro muta profondamente la stessa nozione di lavoro e sfuma la distinzione tra lavoro e attività, lo "statuto della cittadinanza" debba rimanere così strettamente ancorato all'appartenenza a una "comunità occupazionale'' particolare. Le osservazioni appena fatte mostrano che rispondere alla domanda relativa a "verso dove si sta andando" implica che si palesino i criteri con cui valutiamo la direzione del nostro cammino e, dunque, che si esplicitino i giudizi di valore sottostanti, che ci si pronunci non solo sulle tendenze effettive ma anche sulla loro auspicabilità. Qui soccorrono i contributi raccolti nel volume "In difesa del Welfare State", i quali condividono un'ottica normativistica che non si sottrae all'esplicitazione delle "scelte di valore". Sono in particolare degne di nota la ricostruzione compiuta da Artoni di alcuni aspetti spesso sottovalutati del vecchio utilitarismo inglese e della vecchia economia del benessere - che, riconoscendo la necessità di introdurre, a fini di politica economica, criteri equitativi, non escludevano affatto la possibilità di effettuare comparazioni interpersonali - e la riflessione di Zamagni, volta a evidenziare la contiguità tra possibili sviluppi dell'economia del benessere, miranti a recuperare l'ispirazione originaria, e teorie della giustizia, l'elaborazione relativa alle quali - "la ricerca dei presupposti della società giusta" - oggi significativamente "si confonde" con la riflessione teorica sul welfare state.

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